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"APNEA" DI VICTORIA SURLIUGA, UNA POESIA PER TORNARE A RESPIRARE

04/01/2016, 18:28

La silloge poetica Apnea di Victoria Surliuga  (disegnodiverso, 2015) che giunge in Redazione è una vera sorpresa.

La poesia che vi si legge è francamente molto lontana da quelle che troppo spesso incrociamo, sortite dalle penne dei poeti  in Casa Nostra. Sì perché Victoria vive  e lavora in Texas dove insegna italianistica nella locale Università.
Nonostante la sua biografia ci avverta delle numerose frequentazioni con l’Italia, Torino in testa, il suo verso e soprattutto quest’ultimo volume, ci parlano di orizzonti culturali lontani.

Inizia con una prima persona non nascosta ma dichiarata nelle pieghe di un autobiografismo che non è né esasperato né compiaciuto. Il referente oggettivo è sempre presente, la strada, la casa, il muro, la scuola, che si intrecciano con i sentimenti più intimi, primo fra tutti la nostalgia.

“Se la costa del texas si aprisse sul lago maggiore
potrei uscire di casa e sedermi sulle panchine
vedere uno spazio chiuso e una scheggia di cielo
non i diecimila chilometri tra i continenti”

Non è una confessione, né uno spleen, ma una dichiarazione di esistenza sradicata in cui il collante mi pare sia proprio la cultura, le parole di una letteratura che non conosce barriere, non paga la dogana.
L’io poetico si confonde con il suo doppio, ed allora è la bambina che giocava con le bambole, poi la donna intellettuale al computer, con una matita in mano per scalare parole, poi ancora la donna innamorata che rilegge un dolore insopportabile, forse un lutto dal quale vuole  e può riemergere.

Ecco, chiudendo questa silloge si intuisce il perché di un titolo così singolare: Apnea, cioè senza respiro, sotto l’acqua, ma per riemergere alla vita, non già per soggiacere alla tentazione dell’annegamento, dell’annebbiamento, dell’annientamento.

“sarò felice come prima
di aver  incontrato un uomo”
cantava affondando una mano
nel pongo dei bambini persi nel buio”

Allora l’io è diventato un “tu”, una “lei” che si con-fonde e si riannoda dopo la lacerazione della vita quotidiana, in un percorso versale diviso da asterischi che ne suggellano le distanze ma anche ne rimarcano le appartenenze ad un sentire femminile che rafforza se stesso.

L’universo materiale delle piccole cose così come dei sentimenti più antichi, in questi splendidi versi trova la sua collocazione, occupando una zona oscura del nostro inconscio.

Victoria Surliuga ci fa ancora sperare in una poesia che parla al cuore, alla pancia e alla testa insieme, e  rifiuta contemporaneamente  la sterilità degli intellettualismi e la semplificazione di troppo sentimentalismo.

Neria De Giovanni
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