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FRANCESCA BRANCA LEGGE "MASCARAS A BENTU E MASCARAS A BOE" DI ANTONIO MARIA MASIA
30/07/2020, 13:02Pubblichiamo la poesia Mascaras a bentu e mascaras a boe di Antonio Maria Masia, traduzione in italiano dello stesso autore, con un commento ed una splendida esegesi di Francesca Branca, docente e poeta.
La poesia, tratta dalla roccolta "Antiga Limba", pubblicata da Nemapress Edizioni nel 2019, è stata anche musicata dal compositore Ennio Santaniello.
Antonio Maria Masia, presidente del Gremio dei sardi di Roma, poeta e scrittore, socio dell'Associazione Internazionale dei Critici letterari, è presidente della Giuria del premio di poesia in lingua sarda di ittiri, suo paese di origine.
Màscaras a bentu e màscaras a boe
Màscaras a boe e màscaras a bentu,
e pinnettas chi fuman in s’aera,
assoliadas carrelas de ‘idda mia,
e ballos a lughe ‘e luna,
una serada pàsida ‘e istiu.
Unu riu murmuttat lentu-lentu
torrèndemi cuntentu a pitzinnia.
Una criadura a manu tenta *
pro la trattenner umpare a mie
una die ‘e Nadale m’hat lassadu.
E bolende a manzanile
in d’unu chelu ‘e anghelos fioridu
t’hat nadu adiu una rundinedda bianca che nie.
Un’ingratu campanile
repicchende tzoccu feu
giogos iscontzat e isperas,
intro unu sonu ràntzigu che fele.
Ammentos de unu tempus luntanu
undas birdes chentza reposu
dae frinas de amore carignadas,
e profumos de foghiles allumados
pro unu càntigu antigu e sempre nou.
Pedras amigas de sa terra mia
e fiores e fruttos e chercos e lidones
mi ses torrende, poeta, oe,
in custu anzenu logu frittu,
como ch’in coro m’has atzesu
nuraghes dirrutos e roccas de granitu
e màscaras a bentu e màscaras a boe.
Dae minoreddu cantilenaia, chenza cumprender ite cheriat narrer: màscaras
a bentu e màscaras a boe… Daboi, leggende su bellu liberu ‘e poesias “Sa
màscara ‘e su tempus” de Graziella Porcheddu-Useli, hapo pensadu de haer
cumpresu calchi cosa, ma non so meda seguru.
*Su primu fizu meu Pietro, boladu in chelu, Nadale de su 1975.
Maschere al vento e maschere a bue
Maschere a bue e maschere al vento
capanne dei pastori che fumano nell’aria
assolate strade del mio paese,
e balli a luce di luna,
una serata serena d’estate,
un ruscello gorgheggia lento lento
riportandomi felice all’infanzia.
Un bambino tenuto per mano *
per trattenerlo accanto a me,
un giorno di Natale mi ha lasciato.
E volando via all’alba,
in un cielo fiorito di angeli,
a te ha detto addio una rondinella bianca di neve.
Un ingrato campanile,
replicando tristi suoni,
rovina per sempre giochi e speranze,
dentro un ritmo amaro come fiele.
Ricordi di un tempo lontano
onde verdi senza riposo
carezzate da brezze d’amore,
da profumi di focolai accesi
per un canto antico e sempre nuovo,
pietre amiche della mia terra
e fiori e frutti e quercie e corbezzoli
mi restituisci, poeta, oggi
in questa fredda terra straniera,
ora che nel mio cuore hai acceso
nuraghi distrutti e roccie di granito
e maschere a vento e maschere a bue.
Da ragazzino cantilenavo, senza capirne il significato: màscaras a bentu e màscaras
a boe... Anni dopo, leggendo il bel libro di poesie “Sa màscara ‘e su tempus” di Gra-
ziella Porcheddu-Useli, ho pensato di averci capito qualcosa, ma non ne sono sicuro.
*Il mio primo figlio Pietro, volato in cielo, a Natale nel 1975.
Da "Antiga Limba", Nemapress Edizioni, 2019, Pagina 101
"La lirica, fortemente identitaria è un movimento di ombre e luci in
contrasto, di tempi che scorrono in modo circolare, si spezzano e si ricompongono. E infatti come in un cerchio, il primo verso “Màscaras a bentu e màscaras a boe” apre e chiude la poesia.
I movimenti delle stagioni della vita affondano nella misteriosa litania (màscaras...) lontana e indefinita.
Si succedono le onde dei ricordi mosse da una poesia salvifica che
ritempra la vita. Focolari, capanne che fumano, balli sotto la luna e fiori e frutti, querce e corbezzoli di un’antica terra: una comunità si rianima sotto i nostri occhi e il poeta si immerge ritrovandosi bambino in quel tripudio di profumi, carezze, canti e suoni. Il cuore palpita colto dal fuoco creativo della poesia che disegna pietre antiche, nuraghi crollati, rocce di granito e in definitiva fa emergere quella storia lontana di forti e indistruttibili radici. Se l’universo per sua natura tende a frammentare, disperdere, sparpagliare, il poeta abbraccia una concezione della poesia che tende a raccogliere, ricostruire, accendere e riaccendere stille di vita. Una poesia purificatrice che porta l’anima ad elevarsi oltre la gioia, il dolore, le origini, le maree del tempo, della vita e della morte. Le immagini fluiscono al mormorio lento di un ruscello che trasporta il poeta alla felice infanzia. Rivede con i suoi occhi di bimbo l’aria invernale, limpida, solcata dal fumo che sale dalle capanne dei pastori e rivede l’estate invadere le strade soleggiate e al chiaro di luna rivive canti e balli cadenzati della sua terra (simbolo di appartenenza per ogni sardo).
E intanto, dentro il bambino, risuona l’antica cantilena (“Màscaras a bentu e màscaras a boe”), nenia lontana di cui rimane il segno e di cui si è smarrito il senso. Alle prime immagini di felicità seguono, senza interrompere il ritmo dolce e melodioso, versi di profonda tristezza. L’immagine di un altro bimbo, un’altra infanzia, stavolta spezzata da un crudele destino che lo porta alla morte.
Il tempo della memoria si sovrappone, il bimbo diventa padre che tiene il suo piccolo per mano (“a manu tenta”) e che deve arrendersi al peso della perdita, del dolore indicibile, amaro come il fiele, mai assopito. Per un attimo, solo un attimo, i due bambini si incontrano nella magia della poesia,che annulla lo spazio e il tempo.
La lirica continua a fluire, si dipana verso la fine costruendo versi di rara bellezza. L’armonia si ricompone in un “cantu antigu e sempre nou” che vince nella fredda terra straniera lo spaesamento ancorando l’anima e le vicissitudini dell’esistenza alla terra madre,
dispensatrice di “onde carezzate di brezze d’amore, di forza e luce”, dove persino le pietre sono entità “amiche” e danno ristoro."
FRANCESCA BRANCA