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LE ETNIE COME MODELLI DI COMPRENSIONE DEI POPOLI NELLA ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DI TODOROV

10/02/2017, 14:53
Pierfranco Bruni

Todorov: La civiltà coincide con un atteggiamento morale che non è mai acquisito in modo definitivo, né da parte di un individuo, né da parte di un popolo”. Una dimensione della spiritualità delle identità. Quando la filosofia interagisce con l’antropologia si creano dei sistemi interattivi sul piano del pensiero metafisico. Una metafisica che fa i conti, e deve farli necessariamente, per definire alcuni luoghi stessi del pensare, con le decadenze della civiltà.

Filosofia e antropologia sono gli strumenti che si servono anche di archetipi per definire l’identità e il radicamento di un popolo. Ad introdurci in una visione che pone al centro il dinamismo delle identità è stato Cvetan (o Tzvetan) Todorov morto recentemente a Parigi il 7 febbraio scorso. Era nato in Burgaria, a Sofia l’1 marzo del 1939.

Nel 1966 abbandona la Bulgaria per motivi squisitamente ideologici e politici. Molto precisa e chiara questa sua affermazione: “Quando ero in Bulgaria una delle domande che io e i miei amici ci ponevamo con più insistenza era perché i grandi artisti e scrittori dell’Occidente non ci aiutavano come era possibile che tanti di loro – i Sartre e i Montand – non esprimessero alcuna compassione per la nostra triste condizione o, peggio, appoggiassero apertamente gli odiosi dirigenti, se non erano neppure iscritti al Partito”. Una affermazione che lo renderà un intellettuale libero e pienamente in sintonia con una antropologia dell’umanesimo.

Il suo interesse è stato sempre scavato per le discipline comparate ma ha definito un itinerario che è quello dell’incontro antropologico con la letteratura e la filosofia attraverso la dimensione della comprensione delle etnie. Il dato letterario è dentro la lettura filosofica della storia ed entrambi gli aspetti sono parte integrante di una questione profondamente radicata nella consapevolezza delle civiltà ad essere eredità sia di una identità che di una appartenenza.

“Le epoche più gloriose nella storia di ogni cultura sono quelle di apertura verso gli altri popoli”, ecco come la sua specificità etno – antropologica penetra il sottosuolo delle civilizzazione dei popoli.  Su questo versante ha toccato sue elementi significativi nell’antropologia del Novecento. Lo spaesamento – sradicamento e la condizione di abbandono del concetto di esule per impossessarsi del concetto forte di comunità – comunanza.

Si è interessato, usando lo studio dei linguaggi, di semantica e di filosofia del linguaggio applicata alla letteratura, mai abbandonando il legame tra civiltà ed etnie. Importante restano le sue pubblicazioni: La conquista dell'America. Il problema dell'altro, del  1984; Racconti aztechi della conquista, testi scelti e presentati da e con Georges Baudot,1988; Gli altri vivono in noi, e noi viviamo in loro. Saggi 1983-2008, del 2012.

Uno sviluppo teorico e metafisico in cui le etnie costituiscono la chiave di lettura articolata nel vissuto essenziale del suo fare letteratura grazie ai simboli e ai miti. Così come in L'uomo spaesato. I percorsi dell'appartenenza, del 1997. Si legge: “Il passato è fruttuoso non quando serve a nutrire il risentimento o il trionfalismo ma quando il suo gusto amaro ci porta a trasformarci”. Qui, credo, che si gioca tutta la sua partita sul ruolo dello sradicamento all’interno del vissuto delle civiltà. Come anche in Il nuovo disordine mondiale. Le riflessioni di un cittadino europeo, del 2003 e in La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà, del 2009.

In questi due testi di fondamentale acume antropologico e demoetnoantropologico ci sonon anche i parametri metafisici di una letteratura dei popoli che vive di attesa e di attrazione. Ha lavora, comunque, sui processi ontologici dei popoli che sono l’espressione di modelli etnici articolati su realtà linguistiche, su attenzioni sulle tradizioni e sul fascino del contrario dello spaesamento, ovvero paesamento.

Letterato e conoscitore delle arti (famoso il suo saggio su Goya) fino in fondo si è interessato di letteratura applicata ad alcuni autori come Rilke ma anche di una letteratura come principio di salvezza: La bellezza salverà il mondo. Wilde, Rilke, Cvetaeva, 2010. Resta, comunque, un interprete essenziale di una antropologia, come centralità dell’uomo, all’interno del mestiere di scrivere.

La geopolitica è stata, per Todorov, lo strumento per comprendere i cangia menti dei popoli soprattutto in Europa: “L'Europa resta forse la parte del pianeta con la più forte concentrazione di diverse identità nazionali ed etniche. Si può pensare che storicamente questa è già stata una delle fonti del dinamismo europeo”.

Perché Tudorov ha cercato di intrecciare le arti con la filosofia facendo in modo di attraversare la conoscenza delle etnie e la consapevolezza dei popoli ad essere civiltà? Ecco come è ben chiosato: “I barbari sono quelli che negano la piena umanità degli altri. Ciò non significa che essi ignorino realmente la loro natura umana, né che la dimentichino, ma che si comportano come se gli altri non fossero umani, o non completamente”.

Uno studioso che è riuscito a non creare delle divisioni tra la vera antropologia dei popoli e la metafisica delle civiltà. La geopolitica delle etnie è un passaggio obbligato per non smarrirsi tra i disorientamenti del moderno: questo è un insegnamento ben tracciato nei suoi studi e, su questo, credo che la nuova antropologia dovrà confrontarsi.

Definendo le etnie come veri modelli di comprensione delle genti viaggianti che segnano il loro cammino con la lingua, i comportamenti e la tradizione ha definito il vero cammino della contemporaneità dei popoli stessi. D’altronde il suo viaggio parte dalla considerazione mediterranea ed etnica testimoniata da San Paolo.

 


 

Pierfranco Bruni, Resp. Lingue e Etnie MIBACT

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