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OCCORRONO VISSUTI PROFONDI PER CAPIRE I MEDITERRANEI

28/11/2015, 10:21
Pierfranco Bruni

Occorrono vissuti profondi per raccontare i Mediterranei. Dalla Mesopotamia ad oggi. Dalla Grecia alla’Armenia. Dalla Turchia a Tunisi. Istanbul è l’intreccio tra Bisanzio e Costantinopoli. La mia pietra d’Oriente non è soltanto un simbolo. Bisogna abitare l’anima della pietra per cercare di capire. Bisogna aver visitato quei luoghi. Bisogna aver abitato quei contesti. Bisogna aver penetrato le coscienze di un Mediterraneo che è Siria ma anche Omero, che è la Striscia di Gaza ma anche la Cappadocia, che è letteratura albanese (sì, perché l’Albania è un mondo Balcano nella storia dei processi ottomani mediterranei), che è il Regno di Napoli con Corrado Alvaro che  offre le straordinarie immagini di Istanbul e Ankara, ma anche il vento del Libano, le strade di Siviglia, la roccaforte di San Paolo a Malta.
Nel  rapporto tra etnie e religioni è imprescindibile una struttura di pensiero che sia letteraria o antropologica. Ci vuole attenzione e conoscenza, professionalità e saperi.

È da trent’anni che lavoriamo su questioni relative al rapporto tra etnie, letteratura e mediterraneo ed è da decenni che pubblichiamo testi con relativi bilanci su una tale questione e non smettiamo mai di approfondire, restare estasiati, rimanere rattristati in quelle realtà cangianti tra il gioco dei colori, la misura del tempo e la cifra dello spazio.  Mi ritornano alcune canti: “Sei rosa sei rosa bianca e garofano nella sera dell'estate con il vento sulle onde e le voci di Bisanzio che ascolto tra le vie delle spezie sono memorie antiche. Porti sul viso il verde e il rosso della trasparenza dei veli delle danzatrici che sfidano il tempo sconfitto dalle età e ti osservo specchiando i miei occhi nei tuoi. Questa sera al canto del muezzin mi avrai nell'anima e i nostri corpi saranno una stretta di isole per viverci come eterni nel finito delle lune sul mare. Ascoltami per una sera ancora. Domani sarà un volo in più nel deserto degli spazi e delle ricordanze”.

Il mondo Mediterraneo è un intreccio tra realtà araba, musulmana, islamica, cristiana. Ma anche in termini culturali non basta puntare lo sguardo su questi semplici elementi. Siamo nostalgici dei dervisci, ma per capire io dervisci abbiamo bisogno di aver capito Rumi e Kajjam in un intreccio tra Oriente ed Occidente.

Il punto nevralgico della visione di una mondo e di una identità nelle identità del Mediterraneo è la consapevolezza di essere occidentali, non in una visione terzomondista, negli Orienti che non solo sono civiltà frontaliera, ma sono ben strutturati in un processo culturale che trova la sua sintesi contemporanea in Italia, come ho avuto modo di sottolineare in una mostra su “Donne mediterranee” presentata su Rai Uno recentemente, attraverso tre processi storici: il Regno di Napoli e l’Unità d’Italia, che nasce sotto la spinta di conquista del Mediterraneo, la guerra giolittiana la cui fase, come preannunciò Pascoli nel 1911, termina con la Grande Guerra, l’occupazione dell’Africa e dell’Albania da parte del Fascismo e l’importanza che ha avuto Italo Balbo nel mediteraneizzare l’Africa.

Tutto ciò che è avvenuto dopo nasce sotto la spinta di un Occidente americano ed europeo sino alla primavera di Tunisi e alla “rivoluzione” in Libia, compresa la Guerra del Golfo, con la morte di Gheddafi.

Non si può prescindere da ciò anche in letteratura. Soprattutto per una letteratura che è metafora della fuga, del viaggio, dell’esilio, della estraneità, della religiosità portata alla tragedia con il 2001.

Pierfranco Bruni

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