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A 11 anni dalla scomparsa: Roberto Bolaño, ‘il selvaggio IMMORTALE’

Per ricordare questo scrittore, Alessandra Bonanni ha chiesto un contributo a Pippo Di Marca, figura centrale del teatro d’avanguardia e fondatore del Meta-Teatro.

12/07/2014, 12:50
2014

Esattamente undici anni fa, il 15 luglio 2003, moriva a soli 50 anni Roberto Bolaño, scrittore, poeta, saggista cileno, uno dei massimi  autori latinoamericani contemporanei.
Bolaño con la sua personalità affascinante ha affabulato due generazioni, rappresentando per molti una vera e propria icona, divenuta mito con la precoce scomparsa.

Per ricordare questo scrittore  straordinario, ho chiesto un contributo a Pippo Di Marca, figura centrale del teatro d’avanguardia e fondatore del Meta-Teatro. Di Marca nel 2009, primo autore in Italia (e tuttora l’unico), ha scritto e messo in scena una pièce dedicata a Bolaño, “2666: la linea spezzata della tempesta”, seguita nel 2012 da “La parte di Bolaño: il quinto cavaliere” e da numerose ulteriori performance e letture, sempre ispirate dallo scrittore cileno.

La fortuna postuma di Roberto Bolaño (di Pippo di Marca)
Il 28 aprile del 1953, in un remoto angolo della Terra, a Conception, vicino Santiago del Cile, nacque una stella, uno dei più luminosi astri della letteratura latinoamericana e mondiale apparsi nella seconda metà del Novecento. Si chiamava Roberto Bolaño Avalos e nella realtà, nella vita, non aveva niente di luminoso. Era l'oscuro figlio di un povero camionista, ex pugile, e di una modesta insegnante elementare nato per così dire ai confini della geografia, dove finisce l'occidente e l'oriente non comincia che a migliaia di chilometri, oltre l'oceano Pacifico.
Una 'stella distante' (per dirla con il titolo di uno dei suoi romanzi) e opaca, che tale sarebbe rimasta per gran parte della sua traiettoria umana prima di spegnersi al mondo. Morì a 50 anni, il 15 luglio 2003, in un ospedale di Barcellona, in attesa di un trapianto di fegato.
Dopo la morte, quando si spense,  quella stella opaca e distante 'rinacque' come l'astro luminoso e composito che tutti, volendo, possiamo ammirare, 'leggere'.
La vita di Bolaño fu, in un certo senso alla lettera, un lungo, ininterrotto viaggio  tra i continenti, soprattutto l'America Latina e l'Europa. Dapprima nel suo paese, che egli stesso definisce come "l'unico paese al mondo che somiglia a un corridoio", dove trascorse l'infanzia spostandosi in continuazione tra Los Angeles, Valparaiso, Conception, Quilpué, e altre località.
Poi nel suo continente, l'America Latina, quando, appena quindicenne, si trasferì con la madre a Città del Messico, dove visse, senza smettere di peregrinare per questa città dedalo e per tutto il Messico, per dieci anni, quelli cruciali della sua vita e della sua formazione, dal '68 al '77, anno in cui partì per l'Europa, trasferendosi in Catalogna, dove la madre lo aveva preceduto.
Qui, ormai venticinquenne, fece per anni i più umili mestieri; e soprattutto, suppostamente alla soglia dei trent'anni (il primo suo libro 'pubblicato' in Spagna risale al 1984 e si intitola 'Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce'), mise a frutto l'enorme esperienza accumulata attraverso i 'viaggi', ogni genere di esperienze, anche estreme, e una famelica ininterrotta 'lettura' (era capace di leggere un libro al giorno, spesso li rubava). Ormai 'maturo', assecondando il suo straordinario, caleidoscopico istinto di scrittore e la sua potente vena poetica, insieme all'esperienza di vita, si dedicò interamente a 'raccontare': dando corpo in una ventina d'anni a un corpus letterario e poetico che non ha eguali nella recente letteratura mondiale.
I due capolavori (e corposi, entrambi sul migliaio di pagine) attorno cui principalmente ruota l'opera di Bolaño sono ‘‘I detective selvaggi” (scritto probabilmente tra il '95 e il '98, anno della pubblicazione) e ‘‘2666” (uscito postumo, nel 2004).
Il primo narra autobiograficamente l'avventura esistenziale di un gruppo di giovani poeti neodadaisti appartenenti a un fantomatico 'movimento' d'avanguardia, l'infrarealismo, alla ricerca delle radici e del senso ultimo della poesia, non che della poetessa che cinquant'anni prima era stata musa e fondatrice del movimento. Bolaño qui si propone e descrive come un novello Rimbaud, non a caso il suo personaggio si chiama Arturo Belano. Il libro si conclude 'drammaticamente' nel deserto di Sonora, nel Messico settentrionale, dove i poeti, 'detective selvaggi', ritrovano la loro musa. La donna, ormai anziana, si immola nel tentativo di proteggerli e difenderli e viene  uccisa da alcuni magnaccia che erano a loro volta sulle loro tracce. Dopodiché il gruppo si scioglie e ognuno va per la propria strada nel mondo.
Lo stesso deserto di Sonora fa sfondo all'altro libro, 2666. L'azione di 2666 si svolge per buona parte in un'Europa uscita dalla guerra ma ancora pervasa dalle scorie del nazismo ed è sottesa a una dimensione 'tragica' della storia e dell'umanità. Non a caso, fin dal titolo, richiama la  'data' dell'Apocalisse. Nell'ultima parte della sua vita  Bolaño è ossessionato e schiacciato dall'idea della storia umana come una sorta di apocalisse permanente. Lo schema narrativo è identico a quello de "I detective". Quattro professori, un italiano, uno spagnolo, un francese e un inglese, si mettono alla ricerca di un grande scrittore tedesco di cui si sono perse le tracce per decenni, ben prima della seconda guerra mondiale. Dopo tante 'ricerche', questi 'detective' intellettuali  arrivano a individuarne le tracce proprio nel deserto di Sonora e lì, mentre  scoprono gli indizi della sua 'antica' collusione col nazismo, vengono a trovarsi al centro di uno dei più crudeli e disumani avvenimenti 'contemporanei': il femminicidio di centinaia di donne ad opera di bande di narcotrafficanti: la normalità, l'assurdità del 'male assoluto' nel mondo a cavallo degli anni duemila!
Fino al 1998, anno di pubblicazione de "I detective selvaggi”(che ebbe premi e un relativo successo), Roberto Bolaño, che aveva già scritto e pubblicato quattro romanzi e numerosi  racconti e per almeno 15 anni aveva peregrinato coi suoi manoscritti alla ricerca di editori o di premi letterari, era praticamente un semisconosciuto. Con due grandi pesi sulle spalle, due macigni: la malattia (sapeva già intorno ai quarant'anni che non gli restavano molti anni di vita) e i due figli piccoli (a cui avrebbe voluto dare un futuro e una vita non di stenti e di povertà come la sua e a cui 'dedicò', come fosse un dono, tutti i suoi ultimi libri). Forte di questi due pesi, armato di una volontà di ferro e soprattutto illuminato dal genio che più meno capricciosamente e inspiegabilmente decide di prendere albergo in qualche essere umano (predestinato?), Roberto Bolaño produsse, oltre ai libri già citati, ben sette  romanzi, tre raccolte di racconti, uno straordinario libro di saggistica e 6 raccolte di poesie. Di questa mole 'immensa' (anche nel senso del suo valore) di materiale, quasi una decina di volumi sono usciti postumi nell'ultimo decennio (per quanto riguarda l'Italia tutte le sue opere di 'poesia' sono inedite).
La fortuna postuma di Bolaño è così esplosa come meritava e lui, che certamente negli ultimi suoi anni fu consapevole della sua 'grandezza', ha fatto appena in tempo a 'immaginarla'.
Questo scrittore e poeta, che definirei 'il selvaggio Immortale', ha dunque, infine, raggiunto il suo obiettivo. Per sua e nostra 'fortuna'!

Pippo Di Marca    
Luglio 2014

                                                                                                    

Alessandra Bonanni
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