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VITALIANO BRANCATI A 110 ANNI DALLA NASCITA
Un pirandelliano tra ironia e sicilianità
23/01/2017, 13:23Vitaliano Brancati o la Sicilia. O la Sicilia che diventa Italia e viceversa. Pirandello vi campeggia. O meglio la Sicilia nell’itinerario di un italiano. Uno scrittore che ha creato, all’interno della letteratura italiana del Novecento, una “tendenza” che è quella della sicilianità. Certamente più di Vittorini o di Sciascia perché nei romanzi di Brancati si mescola l’ironia con la “tendenza” della tradizione del costume che ha gli intrecci esistenziali pirandelliani.
Emilio Cecchi nel 1954 scriverà: “Il curioso è che un artista talmente colto, squisito, si direbbe avesse preso senz’altro le mosse da un tipo di scrittura scanzonata, beffarda, che allora furoreggiava nella letteratura giornalistica. Il che è una conferma che non di rado gli artisti più autentici partono da modelli estremamente modesti. Suo merito fu d’aver sviluppato tale letteratura sul piano narrativo, in una prosa agilissima; d’averla saturata di una sensualità vigorosa; e d’averla resa più ghiotta con i condimenti d’un indiavolato e tuttavia innocente scandalismo”.
D’altronde quella sicilianità che si legge e si vive nei suoi testi la si ritrova anche in altri luoghi. Quando i personaggi coniati da Brancati vanno altrove (ovvero sono calati all’interno di altri contesti che non è la Sicilia o meglio Catania) si portano dentro un modo di rapportarsi con l’altro e con ambienti non a loro vicini come se stessero ancora in Sicilia o come se dialogassero con personaggi (o uomini) di quella terra. Insomma Brancati, è inutile insistere su ciò, è uno scrittore completamente siciliano nel vissuto pirandelliano. Pirandello è un tracciato emblematico. Si risente il Pirandello de “L'esclusa” (1901) e de “Il turno” (1902).
Brancati visita la terra di Pirandello e scrive una lettera al direttore del suo giornale usando queste parole: “Io mi trovo da un giorno ad Agrigento, patria di Luigi Pirandello. Vuole sapere com’è questa città? Prima di tutto, molto bella (è questo che bisogna dire, “prima di tutto”, quando si scrive di una città siciliana). Poi sghemba. A tal punto sghemba e fuori sesto (almeno la parte vecchia) da somigliare a una di quelle costruzioni che i bambini a letto si combinano sulle gambe e i piedi. Le piazze, tutte in pendenza, paiono in procinto di scivolare ed entrare l’una nell’altra; le vie, dopo aver cercato d’innalzarsi ad arco, s’afflosciano nel mezzo e ricadono nel punto da cui erano partite; le scalinate abbandonano il viandante sul più bello, come pentite di averlo fatto salire e, attraverso un ponticello, lo immettono sopra un declivio disselciato e lo licenziano indicandogli sommariamente la via del ritorno. Insomma, pare che tutta la città debba da un momento all’altro rientare in se stessa, e chiudersi, e ridursi a una piazza, un palazzo, una chiesa, una strada, come una scatola a sorpresa. Su tanta irregolarità in procinto di regolarizzarsi in modo estremo e diventare un che di unico, soffia dal mare un bellissimo vento” (ora in Vitaliano Brancati, “Lettere al direttore, in Romanzi e saggi”, “I Meridiani”, Mondadori, Milano 2003).
Certo più di Vittorini. Perché in Vittoriani ci sono esperienze che creano comparazioni con quella “sua” Sicilia. C’è Milano, c’è la Sardegna, c’è il pathos che non conosce, per alcuni aspetti, l’ironia. In Sciascia ci sono altre componenti della sicilianità ma vi manca quell’attrazione sensuale e quell’occhio di guardare la “femmina” che resta una caratteristica fondamentale nel burlesco, a volte, e nel sarcasmo di romanzi come il “Don Giovanni in Sicilia” o “Paolo il caldo” (postumo e incompiuto) o lo stesso “Bell’Antonio”.
Tre percorsi di un unico iter narrante. In Brancati c’è un progetto letterario e tiene completamente fede a una tale progettualità che non è costituita da un mosaico (come in Vittorini: la memoria e il viaggio in “Conversazioni in Sicilia” sono un banco di prova straordinaria che non si trova in romanzi come “Uomini e no” ma ritorna nella lunga metafora dedicata alla Sardegna) ma da un monolito che diventa espressione, tra l’altro, di una socialità che viene ricavata dall’odore, dal sudore, dallo sguardo, dall’attenzione del luogo. Brancati in sostanza è lo scrittore – luogo e i suoi personaggi sembrano recitare come se fossero sempre in un contesto scenografico che rappresenta gli umori della sua terra. Era nato a Pachino, in provincia di Siracusa, il 24 luglio del 1907. Muore a Torino, in seguito ad un intervento chirurgico, il 25 settembre del 1954.
Una delle sue prime esperienze letterarie risale al 1928. si tratta di un dramma poetico dal titolo: “Fedor”. Poi nel 1932 “Everest”, “L’amico del vincitore”, “Piave” e “Singolare avventura di viaggio”. Nel 1939 “In cerca di un sì”, nel 1941 “Gli anni perduti”, nel 1943 “I piaceri”. “Il vecchio con gli stivali viene pubblicato dalla rivista “Aretusa” nel 1944. Mentre l’esordio emblematico resta “Don Giovanni in Sicilia”. Scritto nel 1940 ma pubblicato due anni dopo. Gli altri romanzi verranno dopo. Mi riferisco appuntoa “Il bell’Antonio” nel 1949 e postumo, nel 1955, “Paolo il caldo”. Uno dei testi singolari che ha visto la luce dopo la morte di Brancati resta sicuramente “Diario romano” che è stato pubblicato nel 1961 che è stato curato da De Feo e Cibotto. Gli stessi cureranno nel 1973 “Il borghese e l’immensità”.
Certo, ci sono componenti politiche sulle quali si dovrebbe discutere ma ci troviamo di fronte pur sempre ad uno scrittore che ha valutato fatti e avvenimenti con il metro del rapporto non tra cultura e politica, ma tra letteratura e vita. Anche se non vanno dimenticate le sue partecipazioni durante gli anni del Ventennio. Mi riferisco, in modo particolare, alle sue collaborazioni con la rivista “Primato” di Bottai e Vecchietti. Su questa rivista scrive sin dai primi numeri. Proprio sul terzo numero (siamo al 1940) compare un suo primo scritto dal titolo: “La cometa del surrealismo”. Nel 1940 usciranno altri “pezzi”, altri ricordi e paesaggi che vengono descritti con mano precisa. Il suo ultimo intervento risale addirittura al 1943, ovvero sul numero l gennaio 1943.
In Brancati c’è da considerare questo legame che rappresenta un modello per approfondire e sostenere una dimensione che è completamente giocata sulla creatività. L’esperienza letteraria è una componente significativa anche all’interno del vissuto dei suoi personaggi. Voglio qui ricordare un inciso che mi sembra che possa offrire una chiave di lettura proprio sul piano di una interpretazione psicoanalitica. L’intreccio tra l’avventura dei personaggi (il loro destino) e il bisogno di confessarsi attraverso la scrittura apre prospettive nuove non solo alle sue proposte narrative ma anche ad un raccordo tra linguaggio e linguaggi.
In “Paolo il caldo” Caterina dichiara allo zio: “…voglio cambiare, non dico vita, ma il modo esteriore di vivere… voglio leggere molti libri, studiare… voglio tentare di scrivere”.siamo ancora una volta a Pirandello. La scrittura, dunque, non interessa solo lo scrittore ma anche i personaggi (in cerca d’autore) che lo scrittore inventa. E si tratta di una liberazione. Liberarsi da sé. O da chi? Dimostrazione di ciò resta proprio “Il bell’Antonio”. Edito nel 1949 ma era stato già pubblicato a puntate sulla rivista “Il Mondo” dal 19 febbraio al 29 maggio dello stesso anno. Un percorso dentro la letteratura del Novecento. Credo che abbia dato vita ad una letteratura erotica e giocosa originale.
Vitaliano Brancati ha commentato spaccati di realtà con il sorriso, ovvero con il riso che rende consapevoli ma anche distanti. Quella “sua” Sicilia non è un quadretto soltanto. E’ un linguaggio, o meglio è una “parlata” che ha saputo disegnare la metafora di un tempo dentro la metafora di una caratterialità anche il cosiddetto “gallismo” resta una caratterialità nella metafora della vita o nella metafora di un Sud che non solo si è fatto letteratura ma ha saputo ben interpretare il vissuto con effetti allegorici che continuano a sorprendere.
Ma nella sicilianità è Pirandello che resta al di sopra di tutti. Romano Luporini nel 1999 ebbe a dire: “Pirandello è l'unico scrittore italiano del Novecento che sia famoso in tutto il mondo”. Pirandello stesso in suo scritto incompiuto autobiografico disse di se stesso che visse nella sua Sicilia come un “involontario soggiorno sulla Terra”.