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L’ARTISTA E' SOLO. "L’ALBATROS" A 200 ANNI DALLA NASCITA DI CHARLES BAUDELAIRE (9 aprile 1821)
08/04/2021, 16:29
Ognuno sta solo sul cuore della terra, scriveva il Premio Nobel siciliano Salvatore Quasimodo. Ma c’è forse chi è più solo degli altri: l’artista. Ecco il suo paradosso: isolato dal mondo e in comunione con lo stesso, curvo su di sé ma proiettato al confronto. Perché la creazione, si sa, è un atto solitario, fatto di meditati silenzi e folgorazioni improvvise; eppure è destinata al pubblico, alla fruizione; è frutto di un’introspezione che guarda al futuro, dell’intimità di un cuore che sogna la condivisione.
Perché, allora, l’artista è così solo? Il suo, di fatto, è spesso un iter circolare: la solitudine è il porto da cui salpa e quello in cui approda. Condizione scelta, poi subita, l’isolamento si converte infine in emarginazione: a volte osannato, altre incompreso, egli paga il prezzo di una sensibilità profonda capace di svelare l’occulto, ma che, inevitabilmente lo allontana dal sentire comune.
Insomma, l’artista nella mischia ci sta male: deve spiccare il volo e guardarla dall’alto, con distacco, per mostrarsi al meglio. Ecco che, lentamente, prende forma una celebre similitudine: quella di Charles Baudelaire, a cui, per l’appunto, appartiene uno dei ritratti più forti sulla figura dell’artista.
La poesia L’Albatro è figlia della solitudine: affonda le radici nell’autobiografia dell’autore, quando la famiglia, preoccupata per la sua inclinazione artistica, nel 1841 gli impone l’allontanamento forzato. Ed è durante il viaggio da Bordeaux che Charles abbozza i primi versi della sua forse più nota poesia: immagina così l’alter ego del poeta, l’albatro, il maestoso uccello dei mari che, talvolta, abbandona le alte quote per planare sulle imbarcazioni e riposare tra l’equipaggio.
Bianco sovrano dell’azzurro, non appena poggia le zampe sulla tolda appare confuso e impacciato, torpido e fiacco e si guadagna l’ilarità dei marinai: un gli stuzzica il becco, con ghigno derisore;/ un altro zoppicando ne beffa l’andatura! Perché lui, principe dei cieli, si muove a fatica sulla terraferma, si trascina con le ali inerti lungo i fianchi. La sua figura, dapprima superba, appare ora misera e goffa: e il poeta gli somiglia, anch’egli esule sulla terra, fra gli scherni crudeli, estraneo alle dinamiche della massa.
E oggi, dopo più di un secolo, l’artista si ritrova a fare i conti con gli stessi pregiudizi di allora: la sua è una scelta di vita coraggiosa, forse temeraria, che i più guardano con diffidenza. Scrittori, poeti, pittori e affini sono le pecore nere del gregge sociale: o li si acclama con entusiasmo o li si addita con sufficienza, come se la loro non fosse una vera professione. Spesso è la famiglia a scoraggiare il loro percorso - quella di Baudelaire voleva per lui un futuro da avvocato -, ma sono le istituzioni, per prime, a veicolare un messaggio equivoco: la chiusura di musei e teatri, oggi, parla chiaro.
L’arte non è forse prioritaria nella politica di un Paese? Non è forse pericoloso declassare la cultura a bene superfluo, quando da essa dipende la coscienza di un popolo?