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Giuseppe Berto, lo scrittore di “Anonimo Veneziano”, a 100 anni dalla nascita

20/05/2014, 09:49

Giuseppe Berto a cento anni dalla nascita. Il tema dominante del viaggio che compie Giuseppe Berto (Mogliano Veneto,1914 – Roma, 1978) è un intreccio non solo letterario ma anche esistenziale e psicologico tutto giocato tra amore e morte. Ovvero tra la capacità dell’amore di farsi definizione ancestrale di un modello di vita, che ha in sé il senso del destino, e la realtà della morte che diventa nei suoi scritti sempre più consapevolezza di un andare nel di dentro della vita stessa senza la paura della perdita.

      Nel 1947 esce Il cielo rosso. Una storia il cui segno politico è preciso. Ma ci sono altri libri che sottolineano il rapporto sempre più profondo, appunto, tra la morte come consapevolezza di definito e la vita come attesa del definire.

      Il male oscuro del 1964 segna, comunque, il suo punto di riferimento non solo, come si diceva, letterario, ma anche esistenziale. È il male oscuro che rende Berto scrittore “nuovo” in un contesto in cui il legame letteratura e psicanalisi costituivano un dialogo sempre aperto e discutibile. Ci sono i libri di memoria come quello già citato del 1947 e poi Guerra in camicia nera del 1955. Altri come Il brigante del 1951. Altri anticonformisti come lo  straordinario ultimo scritto nel 1978 La gloria in cui c’è un rapporto costante tra Gesù e Giuda. Un libro tutto da rileggere  e da rimeditare.

      Insomma, Berto scrittore sì del rapporto amore – morte, ma anche uno scrittore che va alla ricerca di una religiosità che si fa sempre più ricerca, intenso travaglio, inquietudine, turbamento, disperazione.

      È così La gloria. Forse il libro più conflittuale che ha lasciato.

      Del 1966 è La cosa buffa. Un romanzo d’amore che, comunque, non raggiunge quella tensione lirica alla quale lo stesso Berto tendeva.

Invece è con Anonimo veneziano che l’incontro tra amore e morte non si fa solo denso di significato ma è un romanzo che vuole tagliare e dimenticare la disperazione e l’amicizia. Nato come dialogo di un film. Era il 1971.

      Berto lo scrisse per Enrico Maria Salerno nel 1967. Ci furono altre stesure dello scritto stesso. Ma è la problematicità che vive dentro le pagine di un romanzo agilissimo nel quale, appunto, si gioca una partita di coppia. L’amore prima, il conflitto dopo, la morte alla fine. Siamo a Venezia. La Venezia dei miti, ma anche la Venezia di Thomas Mann. È la Venezia in cui gli anni possono nascere e morire. Possono tradirsi ma non dissolversi.    

      Lei e lui si perdono, si lasciano , si ritrovano. Ma questo ritrovarsi è nel perdersi definitivamente “quando che ti fa soffrire è uno che ami, l’unica possibilità di difesa è amarlo di meno, se ci riesci”. Ma non ci si riesce. Questo è il dramma.

      È il libro di Berto che emana la sua passione la sua tensione d’essere che sta tra Il male oscuro e La gloria.

      La letteratura di Berto è un viaggiare nella consapevolezza di una vita che è un tempo immenso e indefinibile. Così come in Il male oscuro, in Il cielo è rosso, in La gloria e , appunto, in  Anonimo veneziano.

Pierfranco Bruni

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