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Oltre le appartenenze: Umberto Croppi, la cultura del "bene comune"
Il presidente dell'Associazione “Una Città – network di cultura urbana” risponde sui nuovi scenari della comunicazione e della politica culturale
18/07/2014, 16:24 | Interviste
Umberto Croppi è stato tra gli ideatori-organizzatori delle nuove forme espressive della cultura di destra negli anni '70. Uscito dal MSI , si è impegnato nei nuovi soggetti della politica italiana degli anni '90 diventando consigliere regionale del Lazio per i Verdi, prima di capire che doveva prendersi una lunga vacanza dalla politica e mettere su famiglia. Dal 1996 al 2005 ha lavorato nell'editoria: è stato prima presidente della Casa Editrice Officine del Novecento, poi direttore editoriale della storica Vallecchi di Firenze. Nominato dal Sindaco Alemanno assessore alle politiche culturali e alla comunicazione del Comune di Roma nel maggio 2008, è rimasto in carica fino a gennaio 2011. Nel 2013 ha appoggiato la candidatura a Sindaco di Ignazio Marino. Presidente dell’associazione “Una Città – network di cultura urbana”, fa parte del Consiglio Nazionale e della Giunta Esecutiva di Federculture e del Cda della "Fondazione Agenda – Le cose da fare”. E’ membro della giuria del Davide di Donatello e del Premio Strega.
D. Nella sua biografia c’è un costante cambiamento di ruolo. Cos’è: curiosità intellettuale o insofferenza per le etichette?
R. Si, ci sono sicuramente questi due ingredienti. In politica ho un istintivo rigetto per ogni “appartenenza”. La scelta politica – e il conseguente impegno diretto – è un modo per mettere a disposizione le proprie capacità per il bene comune, non arruolarsi in un esercito o aderire a una religione. È una decisione che si rinnova ogni giorno e può cambiare al variare delle condizioni storiche e ambientali: insomma per essere sincero ed efficace il rapporto con la politica deve essere laico. Per quanto riguarda il lavoro, in fondo, mi sono sempre sentito un precario, forse non me lo perdonerà la mia famiglia, ma non mi sono mai costruito una carriera legata al posto fisso, forse non avrò mai una pensione.
D. Tra le sue esperienze c’è quella di direttore editoriale di una storica casa editrice. Come si comporterebbe oggi, se dovesse ripetere quell’esperienza, di fronte alla crisi del mercato editoriale?
R. È stata un’esperienza importante, forse la più significativa della mia vita professionale. In quel caso c’era una suggestione su cui è ruotata tutta la mia strategia, si trattava della casa editrice – la Vallecchi – intorno a cui erano ruotate le avanguardie del ‘900, e non esagero se dico che attraverso i suoi tipi si è formato il nucleo di modernizzazione della cultura italiana nel secolo scorso. Trovare una condizione analoga è pressoché impossibile. Se mi ricapitasse (e non mi dispiacerebbe) di lavorare di nuovo in questo campo non potrei che mettere a frutto tutte le esperienze che ho maturato anche in altri settori. Le novità straordinarie che stanno caratterizzando questa nostra epoca sono proprio dovute alla possibilità/necessità di usare più piattaforme, più linguaggi contemporaneamente. La crisi del mercato non è che la conseguenza di una più profonda crisi dei significati e delle possibilità, siamo di fronte ad una trasformazione di portata pari a quella che introdusse Gutenberg con l’invenzione dei caratteri mobili. O si capisce e ci si adegua o si è destinati a soccombere.
D. Roma ospita ogni anno con grande successo la fiera “PiùlibriPiùliberi”, dedicata alla piccola e media editoria. Tuttavia, i libri venduti sono sempre di meno e chiudono librerie storiche. C’è necessità di ripensare gli strumenti di “invito” alla lettura?
R. La questione è in parte collegata al ragionamento appena fatto, ciò che deve cambiare non è soltanto l’educazione alla lettura (che nel nostro paese è sempre stata, oltretutto, piuttosto assente) ma il rapporto con le nuove modalità della lettura e della scrittura: la facilità di diffusione e di riproduzione, l’autoproduzione senza filtri e intermediari modificheranno radicalmente le caratteristiche dell’editoria. Detto questo, però, il grande successo che continua a registrare la manifestazione di dicembre dimostra la vitalità di un settore che dove solo sapersi aggiornare. Per quanto riguarda le librerie, poi, il discorso è ancora diverso. Spesso i motivi della chiusura sono determinati non tanto dalla contrazione delle vendite quanto da altri fattori, soprattutto l’aumento indiscriminato dei canoni d’affitto, le difficoltà di accesso e, non ultimo, il sistema degli sconti che premia la grande distribuzione.
D. Dopo le dimissioni dell’Assessore Barca, il Sindaco Marino ha tardato a nominare un nuovo Assessore alla Cultura. Una scelta tattica o colpevole negligenza?
R. Per capire bisogna partire proprio dall’esperienza appena conclusa; le dimissioni della Barca, che pure ha provato a impegnarsi con buona volontà, sono dovute ad una discreta dose di approssimazione con cui si è affrontato questo primo anno di governo della città, unita ad una scarsa considerazione per il ruolo della cultura nell’economia generale dell’amministrazione, nonostante i grandi proclami elettorali. La lunga attesa per la nuova nomina, arrivata sotto la spinta di una pressione alla quale Marino non avrebbe potuto resistere ulteriormente, è indice delle stesse incertezze e sottovalutazioni, con l’aggravante di un quadro politico sempre più complicato e precario.