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Il crepuscolo dei media: come le nuove tecnologie cambiano il mondo dell’informazione, di Massimo Milza

Presentato alla FIEG il libro di Vittorio Meloni edito da Laterza

15/07/2017, 18:15 | Attualità

Se termini come tweet, breaking news, fake news, sono diventati di uso comune, altri termini, come haters (internauti diffamatori e violenti che si trincerano dietro nickname) o Istant articles (in italiano “Articoli Interattivi”) appartengono già alla cerchia degli addetti ai lavori. Per non parlare poi degli automated buying, o programmatic, (la più recente e sofisticata tecnologia di gestione degli investimenti pubblicitari sulle piattaforme online e digitali, che consentono all’investitore di raggiungere con sempre maggiore precisione i target di consumo desiderati) o degli Ad blocking (software che consentono di disattivare banner e pop up) e della viewability (l’effettivo contatto visivo ed emozionale dell’utente Internet con l’annuncio pubblicitario, nelle sue varie forme).

Si potrebbe continuare, ma queste ed altre informazioni sono raccolte nel libro di Vittorio Meloni “Il crepuscolo dei Media”, edito da Laterza, che è stato oggetto di un dibattito con l’Autore tra  alcuni dei principali protagonisti  della comunicazione in Italia: il Direttore di Repubblica, Mario Calabresi, il Direttore del TG della 7, Enrico Mentana, il Presidente AGCom, Giovanni Pitruzzella, l’Editore Giuseppe Laterza e Maurizio Costa, Presidente della FIEG, che ha ospitato l’incontro.

"Il crepuscolo dei Media” si intitola il libro, perché le cifre fornite da Meloni, e riprese dagli intervenuti, non lasciano spazio all’ottimismo sul futuro dell’informazione come l’abbiamo tradizionalmente intesa, con una crescente “perdita di peso e di influenza a fronte dell’avanzare delle nuove tecnologie e dai social, a meno che non si scelga di svilupparsi nell’universo della Rete”.
I fatti parlano chiaro: secondo il Censis, nel nostro Paese, nel periodo 2007-2016, i lettori di quotidiani sono scesi del 26,5%, perdita non compensata dal trend delle copie digitali. Sono i giovani, soprattutto, a rifiutare la carta stampata, se è vero che tra i 14 e 29 anni i lettori si attestano al 30%, tanto da  indurre Mentana ad affermare “ i giornali ormai sono fatti da 60enni per lettori 60enni”. Per giudicare l’influenza decrescente dei giornali, poi, Meloni cita il caso della vittoria di Trump alle elezioni americane, a fronte del forte consenso dato dai media statunitensi alla candidata Hillary.
Insomma, il giornale non è più “la realistica preghiera mattutina” di cui parlava Hegel, anche perché nessuno dispone del tempo necessario per leggere un fiume di parole su argomenti che lo coinvolgono così poco. E anche le tv non sfuggono al trend negativo. L’esempio citato è quello della crisi irreversibile dei c.d. talk show.

Tutto ciò si è ripercosso sulla raccolta pubblicitaria che dal 2007 (anno record) ad oggi è scesa del 37%, attestandosi a 6,5 miliardi. Ma il dato rilevante è che questa raccolta pubblicitaria si sta progressivamente e rapidamente trasferendo sui social media. Si prevede che entro il 2017 la raccolta su Internet rappresenterà più del 38% di tutti gli investimenti pubblicitari, superando quella destinata alle tv. “La Rete sarà a quel punto il più grande media pubblicitario del mondo”. Ma anche qui i problemi non mancano: circa un terzo di tutta la pubblicità online è vista da non umani, cioè da dispositivi, software e robot che popolano la Rete!

“I social, insomma, che occupano un posto sempre più importante nelle nostre vite e assorbono quote crescenti del nostro tempo personale e professionale, stanno esercitando un’attrazione gravitazionale sull’intera economia della Rete. News, conversazioni, immagini, video, nuovi movimenti politici e culturali e, inevitabilmente, finanza, comunicazione, pubblicità confluiscono nello spettacolare universo digitale di cui ci sentiamo protagonisti. Ma nel quale siamo spesso target pregiati di consumo e generatori involontari di ricavi e fatturati altrui”.

Il futuro, dunque, è tutto in quella direzione. Siamo sempre più digitali, sempre più connessi e interconnessi. Ma come vengono generati e distribuiti i “nuovi” contenuti? Si apre il caso delle c.d. fake news che pongono importanti quesiti sul piano deontologico, tecnologico e anche regolamentare. Come una volta si diceva “l’ho sentito alla radio” o “l’ha detto la tv” oggi è diventato di moda dire “l’ho letto su Facebook” senza sottilizzare troppo  sulla veridicità dell’informazione.  Ma c’è un altro dato inquietante che il libro di Meloni mette in luce.
Dataminr è una società che grazie ad un accordo strategico con Twitter è abilitata a “leggere” tutti i tweet in circolazione nel mondo, circa mezzo miliardo al giorno. Attraverso un software supersofisticato Dataminr aggrega istantaneamente qualsiasi tweet per area geografica o per argomento, lo traduce in tempo reale da 65 lingue in inglese, lo visualizza su una varietà di mappe dalle quali si possono ricavare in un secondo tutte le informazioni utili per inquadrare rilevanza e portata di quel tweet.

Così, ad esempio, se qualcuno twitta una notizia rilevante come una esplosione nel centro di Manhattan, le grandi reti tv come  Cnn e Fox danno le breaking news servendosi dei tweet forniti in tempo reale, a pagamento, da Dataminr e solo più tardi arriveranno i reporter delle tv e dei grandi giornali a fornire  l’informazione giornalistica. Siamo al paradosso: “la rete non riconosce introiti agli editori per i loro contenuti in libera circolazione sul web, ma i gestori delle nuove piattaforme digital si fanno pagare profumatamente dagli editori l’accesso alle notizie generate, gratuitamente, dagli utenti sul web”.

Si è ormai aperta una nuova era di giornalismo diffuso, fatto non da professionisti dell’informazione, ma da “un’intera umanità, digiuna dei canoni del giornalismo classico, che aspira a parlare sui social e lo fa senza intermediari, spesso con una familiarità con la lingua scritta appena accettabile e, ancor più frequentemente, con una cultura di base a dir poco inadeguata a capire la profondità degli argomenti che si vorrebbero trattare in un post”.

Però, ed è questa l’amara conclusione che si trae dal libro di Meloni  "è con questa nuova massa di scrittori per caso, che si esprimono in libertà e non si curano più di tanto degli effetti delle loro esternazioni, che bisogna interloquire”.

MASSIMO MILZA
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