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Ilaria Drago "un corpo-spettacolo"

Grazia Francescato presenta "di polvere e di resurrezioni" di Ilaria Drago alla libreria Arion

20/10/2015, 11:13 | Attualità

ILARIA DRAGO è una sorpresa, anzi uno shock, uno shock salutare, intendiamoci, quella scossa inattesa e inedita, che rimescola le carte, che fa volare via e scompagina le pagine del nostro quotidiano.
Shock positivo Ilaria dunque, ma shock!
Perché uno la incontra così delicata, una betulla, elegante, nitida, bella nel segno di una bellezza oggi in via di estinzione, d' antan, viene in mente Francois de Villon e le sue "dames d'antan", appunto.
E poi la rivede in scena, legge e rilegge i suoi scritti e ammutolisce: ha ragione Neria De Giovanni nella sua postfazione a "Di polvere e di resurrezioni". Perché Ilaria in scena è una forza tellurica, un pugno nello stomaco, una successione di scosse di terremoto, " un corpo spettacolo" come lei stessa scrive nell'introduzione al suo libro, che tutto fa tranne lasciarci indifferenti.
È terapia d'urto nei confronti della malattia del secolo, della nostra epoca, quella indifferenza globalizzata di cui parla Francesco nella bellissima enciclica Laudato sì, che ormai ci ha anestetizzato, inaridito, trasformato in zombi digitali, protesi nevroticamente ad una vita virtuale, ma privi di vera vita.
Ilaria, invece, è vera vita, di sentimenti forti, autentici, perfino violenti. Ce ne rovescia addosso a tonnellate, lanciandoci le sue Maddalene, Antigoni, i suoi pesci vagabondi e figli-cristi come fossero altrettanti sassi scagliati da fionde, balestre,  barbariche macchine da guerra, archi impietosi... "Perché in chi guarda esploda qualcosa ed in me altrettanto".
... e accade, accidenti se accade...l'indifferenza, il cuore ormai freddo, cadaverico che alberga in troppi odierni seni, viene irrorato, cosparso, inondato di sangue vivo che sgorga da tutte le parti: dalle voci di Cristo, dalle barche dei profughi destinate a conoscere il mare solo come tomba e non come flusso vitale, dalle guerre tremende che Simone Weil descrive, appunto, come scatenate da " entità avide di sangue umano, ed entità vuote istupidiscono le menti; non soltanto causano la morte ma, cosa infinitamente più grave, fanno dimenticare il valore della vita".

Ecco, questo è il peccato capitale del nostro tempo di cui Ilaria, sulla scena e nei suoi scritti, ci obbliga a chiedere conto, ci obbliga a pentirci, o almeno a sentire vergogna, disagio, dolore.
Dolore sparso a piene mani insieme al sangue, da donne crocifisse e calpestate, che amano di troppo amore (su questo troppo amore femminile sono state fatte dal femminismo d'autore e da tante scrittrici riflessioni che scottano, che ustionano). Dolore a piene mani, dunque, per queste donne che conoscono intimamente la sofferenza più disperata e più acuta, ma che dalla sofferenza rinascono come arabe fenici , risorgono "è la rinascita dopo la perdita, la resurrezione di ogni giorno, attraverso uno sguardo nuovo. È il rialzarsi nonostante il dolore, è camminare nonostante le cadute. È dignità".
Lo sguardo che permette la resurrezione è quello che sa riconoscere la bellezza. Ancora Simone Weil: "l'amore per la bellezza del mondo, pur essendo universale, comporta un amore secondario, l'amore per tutte le cose veramente preziose. Le cose preziose sono un gradino verso la bellezza del mondo. Al novero delle cose preziose appartiene tutto ciò che avvolge di poesia la vita umana di ogni strato sociale".
Bellezza come strumento per rovesciare l'oscurità in luce. "Turning darkness into light" scriveva un monaco dell' VIII secolo. Lao Tse, nostro pane quotidiano, ci invita a non avere paura del buio ed accendere ognuno una candela.

Ilaria ne ha accese a migliaia.

 

 

 

Grazia Francescato

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