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Paola Ferrantelli e il suo nuovo libro su Vilhelm Hammershoi, pittore del silenzio, di Liliana Cantatore

15/10/2025, 15:50 | Attualità

In realtà la pittura sembrerebbe tra le arti quella deputata al silenzio: può raffigurare chi parla, suggerire il frastuono di una piazza, il rumore di un temporale, può evocare e suggerire un suono, ma non crearlo. Sembra così, la pittura, votata per se stessa al silenzio. Eppure sappiamo per esperienza diretta che non è così. Anzi a volte rumore e silenzio sono potentemente evocati insieme all’interno di un quadro. Nel Martirio di Sant’ Orsola  del Caravaggio (1610), ad esempio, il silenzio improvviso che raggiunge la fanciulla colpita a morte rende addirittura assordante il frastuono degli sgherri che la circondano …  Però se vogliamo parlare in profondità di pittura del silenzio  - che non significa certo escludere che il silenzio abbia sempre una sua voce – dobbiamo  guardare proprio alla pittura del Nord, all’attenzione alla grande luce, ferma e senza alone, che incide in profondità quel silenzio e che aiuta insieme a declinarlo.
In questo ambito Vilhelm Hammershoi (1864-1916)  ha un posto particolare.  Al di là del soggiorno in Europa la sua attività si svolge tutta nella città natale, Copenaghen: la sua fortuna di pittore ha avuto alti e bassi, ma la qualità del silenzio che segna il tempo immobile dei suoi interni resta unica. Sono, questi suoi interni,  poco ma molto accuratamente arredati. Ognuno emerge come un’isola e ne vanta l’autonomia. I colori sono tenui e scivolano l’uno nell’altro: grigio celeste verde, marrone del legno, bianco delle tende e delle tovaglie illuminate dalle finestre, alte, frequenti, rigorosamente scandite a riquadri. Qualcosa sta per accadere, qualcosa è già accaduto, qualcosa non accadrà mai. Il silenzio partecipa della natura del tempo, comunque ineluttabile. E’ impregnato di potenzialità che richiedono attenzione, che coinvolgono chi lo  guarda e lo vive, collocandosi al centro del quadro. Nel vuoto che caratterizza questi interni abbiamo l’impressione di una costante presenza. Spesso, di spalle, una donna condivide la nostra attesa. Non è vero il contrario perché non sembra saperne più di noi. La capigliatura raccolta ne scopre la nuca dolce e candida, ne fa una creatura sensibile e indifesa. E’ la moglie Ida, l’unica modella dell’autore.
Trovo particolarmente belli i quadri in cui non si vede la finestra da cui piove la luce, su un tavolo o sul pavimento. Mi sembra una immagine suggestiva di una pittura dal silenzio, più che del silenzio. C’è chi riconduce questa situazione al credo luterano, rigoroso e austero. Sarebbe una risposta.  Quanto a me – ed è una opinione tutta personale -  non credo che Hammershoi abbia o voglia cercare una qualunque risposta. Quello che vuole è far sentire la natura del problema.
Per capire i quadri di Hammershoi e il suo silenzio bisogna forse tener presente quello che dice Rainer Maria Rilke (1875 – 1926),  non a caso suo estimatore, ne I quaderni di Malte Laurids Brigges (1910). L’oggetto immediato è la poesia , ma quello che si dice è vero per ogni opera d’arte.
“Bisogna aver ricordi. E ancora aver ricordi non basta. Bisogna saperli dimenticare quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, solo allora può darsi che in una rarissima ora si levi dal suo centro e sgorghi il senso di un verso. “  (O di un quadro.) Penso che la citazione metta bene in luce l’ispirazione delicata e poetica di Hammershoi e la profondità che la contraddistingue. Il vuoto dei suoi interni è pieno di questi ricordi in cerca di se stessi.
Rilke e Hammershoi non ebbero mai occasione di incontrarsi, o perlomeno non  ne è rimasta testimonianza, ma su Hammershoi Rilke ha lasciato una testimonianza significativa: “ Hammershoi è uno di quelli di cui non si deve parlare troppo precipitosamente, Il suo lavoro si iscrive nella distanza e nella lentezza; quale che sia il momento in cui lo cogliamo, esso offre materia di riflessione su ciò che di importante e di essenziale vi è nell’arte”.
In effetti l’influenza di Hammershoi è  palese nella cultura scandinava, soprattutto danese, va al cuore dei legami con la luce che distinguono i paesi del Nord . Un esempio significativo  è l’opera del poeta svedese Tomas Transtromer  (1931 – 2015), premio Nobel 2011. Nel 2025 l’editore Crocetti ha pubblicato di Transtromer, in una veste nuova, una raccolta di versi dal titolo quanto mai significativo, Poesie dal silenzio. Si tratta di una antologia che abbraccia l’intera attività poetica dell’autore: come sempre il lettore è chiamato a nutrirsi di ogni singolo verso, di immagini inaspettate e significative. Basterà pensare, per il confronto con Hammershoi, alle stanze silenziose dove i mobili stanno pronti a spiccare il volo al chiaro di luna. Ci accorgiamo allora di quanto la luce di Hammershoi tenga in qualche modo del fascino e del mistero del chiaro di luna, anche dichiarandosi per lo più come luce diurna e meridiana. Quel mistero è il nostro mistero: nella camera si apre l’oscura tromba dell’ascensore verso le viscere. (Silenzio, da La gondola  a lutto,1996)  Non è detto che sia un viaggio doloroso. Sicuramente non è un viaggio inutile: mi porta la mia ombra/ come la sua nera custodia / un violino. (Aprile e silenzio) Il silenzio, il suono e la natura dell’anima… E’ tutto quello che  pre-sentiamo e che restiamo in attesa di sentire,
Egualmente visibile è la presenza di Hammershoi nel cinema – e nel grande cinema.  La mostra di Rovigo punta interamente sul film Gertrud  (1964), del grande regista danese Carl Theodor Dreyer (1889 – 1968). Una sola inquadratura: una porta chiusa dietro cui una donna  sta morendo, un tavolinetto che poggia  - quasi in maniera instabile – sulla propria stessa ombra. Sembrano, e sono, questa inquadratura e l’interno di Hammershoi  cui si ispira, immagini interamente sovrapponibili. Eppure c’è una differenza, le porte di Hammershoi sono per lo più aperte sul vuoto degli interni .E queste porte non hanno maniglia.
Attraverso il cinema di Ingmar Bergman  Hammershoi raggiunge altri registi, primo fra tutti Woody Allen. Anche io vorrei puntare tutto su un unico film, a mio parere il più significativo: Un’altra donna  (1988), con Gena Rowlands, Mia Farrow e Gene Hackman. Tutto è riconducibile ad Hammershoi: lo chignon di Gena Rowlands che le lascia scoperta la nuca , la sua posizione nell’interno vuoto quasi sempre di lato o di spalle, l’interno stesso del suo studio segnato da alte finestre, il senso della storia (il viaggio verso le viscere, che non è solo una metafora.) Nel vuoto e nel silenzio della stanza, simili a sussurri, arrivano direttamente dalla coscienza le voci altrui – e quelle proprie … Insomma non si finirebbe più di parlare.
E’ questo evidentemente il momento di Hammershoi. Per felice coincidenza la casa editrice Nemapress ha appena pubblicato un bel libro dedicato a Hammershoi, alla sua pittura e alla sua vita:  Hammershoi – I giorni segreti.  Una novità assoluta per l’Italia, almeno a quanto mi risulta. L’autrice è Paola Ferrantelli, non nuova a esperienze di questo tipo: tra gli altri si è occupata di Camille Claudel, di Egon Schiele, di Gustav Mahler e di Federico Chopin. Ogni tanto si dovrebbe pur dire qualcosa a proposito del coraggio e della intelligenza della piccola editoria, che segue le proprie strade e le trova strade maestre.
Il libro di Paola Ferrantelli è una sorpresa: contiene due racconti, Come uno scoiattolo in gabbia  e L’uomo vestito di grigio. Nel primo lo sguardo è quello di Ida, moglie e  modella del  pittore. L’aderenza ai modi della pittura emerge fin dall’inizio: L’impazienza del cuore è un sussurro: sarai il mio segreto. Le vibrazioni del cuore sono come le vibrazioni della luce: nascondono e rivelano. E in esse l’assenza e la presenza scambiano il proprio ruolo come la luce e l’ombra. Il secondo racconto ha una struttura narrativa più complessa, ma traccia comunque un percorso interiore nell’opera di Hammershoi. In esso il protagonista, davvero un uomo qualunque, cresce e trova se stesso: una luce breve, il tempo di una candela in una solitudine scura – Ma nella malinconia della vita a volte basta poco.  E nella luce di una candela può esserci ogni luce.
Fa piacere  leggere oggi un libro capace di tanta freschezza, capace di diventare le cose che guarda.  In fondo, come Wilhelm Hammershoi, anche Paola Ferrantelli sa rivelare i suoi giorni segreti senza dirli.

LILIANA CANTATORE
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