Sei in: News » Attualità » Giubileo della Comunicazione 2025: ricordando Grazia Deledda e il Giubileo del 1900, di Neria De Giovanni
Giubileo della Comunicazione 2025: ricordando Grazia Deledda e il Giubileo del 1900, di Neria De Giovanni
08/02/2025, 11:51 | Attualità
Il 25 gennaio scorso ho partecipato in Vaticano al Giubileo della Comunicazione, la prima grande riunione tematica di questo Anno giubilare che Papa Francesco ha dedicato alla Speranza.
Passaggio della Porta Santa in San Pietro, assemblea di migliaia di giornalisti e comunicatori proveniente da oltre cento Paesi in Aula Paolo VI; Mario Calabresi ha coordinato gli interventi del premio Nobel per la pace Maria Ressa e dello scrittore irlandese Colum McCann, e poi il maestro Uto Ughi con la sua orchestra, e poi papa Francesco che, con umorismo, vista l’ora di pranzo, rinuncia a leggere le nove pagine di discorso che ci viene comunque consegnato. L’ indomani, 26 gennaio, la Messa in Vaticano cementa due giorni di grande emozione e partecipazione. Soprattutto è stato per me un felice momento per rivedere amici come Vania De Luca, caporedattore vaticanista del TG3, Premio Alghero Donna sez. Giornalismo 2025 e la giornalista sarda Simona Scioni; per conoscere personalmente amici di penna, come Andrea Pala, presidente per la Sardegna dell’UCSI- Unione Stampa cattolica italiana e il Presidente Nazionale, Vincenzo Varagona, il collega dell’ UCSI Lazio, Emanuele Mariani, Francesca Turi, della RAI di Bologna, e tanti altri.
Il Giubileo ordinario si celebra adesso ogni 25 anni, dopo aver iniziato addirittura per ogni 100 poi 50 anni. La mia mente va a Grazia Deledda e al suo essere cittadina romana per ben due Giubilei, quello del 1900 e quello del 1925.
Il Giubileo del 1900 indetto da parte di Papa Leone XIII (1878-1903), fu una sfida consapevole per dimostrare insieme l’attualità della dottrina cattolica e la centralità del Papato nel Regno d’Italia dopo la “ferita” di Porta Pia.
Il Papa propose la costruzione di venti monumenti per un grandioso omaggio a Dio, da edificarsi su 20 monti nelle diverse regioni italiane con la costruzione di altrettanti monumenti al Redentore.
Nel 1900 vennero murati nella porta santa di san Pietro i venti mattoni provenienti dai rispettivi comitati locali, ed una pergamena esplicativa.
Per la Sardegna venne scelto il Monte Orthobene, il monte d Nuoro. Per finanziare l’opera, il comitato promotore costituito per l’occasione si rivolse a tutti i sardi, sostenuto da un periodico di Cagliari, «La Sardegna cattolica», che aprì una sottoscrizione a cui partecipò anche la Regina Margherita. A favore dell'iniziativa si attivò Grazia Deledda, che nel luglio 1901 scrisse un appello e invitò le donne sarde a raccogliere oggetti da usare per la lotteria. Lo scultore calabrese Vincenzo Jerace si aggiudicò l’opera che fu solennemente inaugurata il 29 agosto 1901: per l’occasione erano presenti oltre diecimila persone, provenienti da tutta l'Isola.
Sul Grande Giubileo che ha aperto il XX secolo ed anche la sua vita come cittadina romana, Grazia Deledda ha lasciato soprattutto la sua impronta di scrittrice nella novella “I giochi della vita” . Pubblicata il 16 ottobre del 1902 sulla prestigiosa rivista romana «La Nuova Antologia» e ripresa nel 1905 dando il titolo ad un’intera raccolta di dodici novelle scritte tra il 1901 e il 1905, edita da Fratelli Treves di Milano e ristampata con successo fino agli anni venti.
La novella narra una vicenda con molti tratti autobiografici: è la storia di una giovane coppia con il marito impiegato statale e la moglie, Carina, scrittrice che sperava di pubblicare il suo romanzo senza cedere alle logiche del mercato. Ma il Giubileo porta a Roma tanti pellegrini e tanti rincari di prezzo per cui la coppia è costretta a subaffittare stanze del proprio appartamento ma: “ Carina non si creava illusioni, sebbene affermasse il contrario. Lo stipendio di Goulliau non poteva bastare oltre: di giorno in giorno tutte le cose più necessarie alla vita diventavano più care; l’anno santo gettava su Roma una maledizione infernale.”
Vistasi rifiutata anche dal direttore di una importante rivista che pubblicava romanzi a puntate, Carina, decide di scrivere al padre. La lettera deve spedirla alla Stazione Termini ed è in questo modo che Deledda introduce la scena descrittiva dei pellegrini che arrivano in treno per il Giubileo. “Uscito il marito, ella scrisse al padre una lettera piena di insolenze, poi prese il suo manoscritto, uscì e andò alla stazione ad impostare la lettera. Le vie erano fangose, ma il cielo era azzurro e l’aria tiepida; nell’orizzonte alcune nuvole brillavano come colline d’argento. Nella piazza della stazione, la folla aspettava un pellegrinaggio meridionale. Dagli alberi del giardino piovevano goccie e foglie d’oro pallido; i tram scivolavano rapidi tra la gente che indietreggiava come al passaggio di una grossa ma tranquilla bestia.”
Riporto per intero la scena che vede la folla dei pellegrini assaltata da venditori di rosari e altri ambulanti, tra suore e preti paonazzi per la fatica. Quanta attualità! Grande Grazia Deledda…
“Ella impostò la lettera, poi si avanzò fino alle uscite della stazione, davanti alle quali s’allungava l’ immobile fila delle monumentali vetture degli alberghi: qualche vetro luceva, un cocchiere, seduto più alto degli altri, dominava la folla con una figura imponente di diplomatico da palcoscenico. All’arrivo dei pellegrini la gente s’accalcò intorno alle uscite; i soliti preti lunghi e grossi, con la barba non rasa da varii giorni, guidavano o spingevano torme di povere donne cariche di fagotti, stanche e piene di stupore. Un numero straordinario di venditori ambulanti prese d’assalto pellegrine e preti: uno specialmente, che pareva un signore, biondo ed elegante, agitava sul viso alle povere donne un fascio di coroncine dorate, gridando con voce monotona:— Due soldi! Due soldi! Due soldi! I rosari dell’anno santo: due soldi, due soldi, due soldi! Alcuni piccoli lustrascarpe, nascosti tra la folla, cominciarono a pulire rapidamente gli stivali delle pellegrine, mentre una nana, dal giacchettino violetto col suo bravo colletto di pelliccia, con le taschine piene di biglietti della fortuna, mormorava: — Le guardie! Le guardie! Due pellegrine, presso le quali Carina si fermò, guardarono la nana come un essere sovrannaturale; il piccolo essere s’ accorse della curiosità che destava, e ne profittò per vendere alle donne i biglietti della fortuna. — Avanti! — disse un prete con voce rauca, spingendo le pellegrine. Venditori ambulanti e spacciatori di cartoline s’incrociavano e s’urtavano confidenzialmente: un tiepido odore di pasticcini errava nell’aria; mille voci vibravano tra il rumore diffuso e ronzante prodotto dalle vetture correnti, dai tram, dai suoni lontani. Un grosso prete svenne tra la folla che gli si precipitò attorno; anche Carina si spinse in avanti, e fra cento teste curiose ella intravide la fronte calva del prete farsi rossa e poi pavonazza, udì uno scherzo triviale mormorato da un venditore di pasticcini, e sorrise. Ma subito provò disgusto del suo sorriso volgare e crudele, e si scostò dalla folla con un senso di vergogna e d’ira contro sè stessa che s’era mischiata alla massa incosciente.
Grazie a Simona Scioni per le foto di questa articolo