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Sono nata il 21 a primavera: per i 90 anni di Alda Merini , di Elsa Baldinu
20/03/2021, 19:22 | Attualità
Rossetto rosso e sigaretta in bocca, foulard di seta e perle al collo; sguardo languido sotto le lenti spesse, saturo di nomi e luoghi, eppure curioso, vivido, audace; occhi profondi - ora torbidi, ora limpidi -, su cui giocano i riflessi della vita; occhi come il cielo di Milano, come l’acqua dei Navigli.
E la sua casa è lì, affacciata sul canale, colma di storie e oggetti fuori posto. Ecco che, accomodata nel suo studio come una dea pagana, Alda riceve la visita di un giornalista, lo accoglie nell’olimpo della sua poesia; sfoglia le pagine dell’ultima raccolta, ne interpreta i versi, gli chiede un parere.
Ha l’ingenuità dei bambini e la malizia inesperta degli adolescenti, la consapevolezza degli adulti e la nostalgica saggezza dei vecchi. Parla dei suoi primi affetti, a cui promise il sempre degli amanti (1949) e di quelli più maturi - celebri o sconosciuti -, consumati con la stessa, passionale intensità; ricorda gli anni del manicomio, la sua Gerico antica (1984), che la strappò alla famiglia e la protesse dalla volgarità del mondo; evoca immagini e visioni, simbologie e verità nascoste; descrive la morte come una compagna silente di cui non ha paura e che, in futuro, avrà il piacere di incontrare.
Alda tiene il riscaldamento su alte temperature: dopo gli elettroshock, se sente freddo, lo sente il doppio. E soffre anche, il doppio, che quei dodici anni le hanno cambiato la pelle, le hanno scosso l’anima. Ma lei, poetessa, lo era anche prima di conoscere il dolore, quello acuto e delirante dei corpi che odorano di legno, senza ossa né vita (1984). Perché poeti lo si è fuori dal tempo, al di sopra delle leggi che governano il mondo, con l’orecchio sempre teso ad ascoltare il passo breve delle cose (1997).
E Alda è poetessa delle cose bestemmiate e leggere, del sacro e del profano, lei che ha l’anima della meretrice/ della santa della sanguinaria e dell’ipocrita (1991). Lei che ha un unico timore: che qualcuno ricavi dal passato/ un simbolo, un accenno che la descriva incatenata sempre/ ad un unico passo (1949). Perché Alda è fluida, ironica, talvolta incoerente, ma centrata nell’amore, nel culto della vita: lei il giorno lo guadagna palmo a palmo, con fatica (1951), consapevole che la bellezza sia una conquista quotidiana.
Io sono novembrina, nel senso che amo le foglie sparse per terra, gli autunni celeri, quelli che incantano finalmente il sole e lo fermano nel suo girovagare quotidiano (1992): eppure Alda è marzolina, figlia della primavera, dei germogli e dei risvegli, di buone nuove e giovani speranze. Ma persino la stagione in fiore ha in sé un potere dirompente, una forza delicata e rivoluzionaria. La stessa forza che Alda sente pulsare dentro sé, con stupore e orgoglio; la stessa forza che l’ha resa immortale:
Sono nata il 21 a primavera
Ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta. (1991)
nelle foto dell'articolo, Alda Merini sui navigli e Alda Merini con Neria De Giovanni a Gela per il premio Il Sileno d'oro.