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3 P di Franco Achenza: una poesia per ricordare Pier Paolo Pasolini, di Vanna Dettori
31/10/2020, 18:48 | Attualità
"La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile". Scriveva cosi Alberto Moravia a suggello della tragica notte tra il 1° e il 2 novembre del 1975 quando Pasolini fu ucciso in modo orrido e brutale sulla spiaggia dell'idroscalo di Ostia.
Pasolini è, senza possibilità di smentita, l'emblema di un'epoca di profonda rivoluzione culturale, poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, pittore e linguista a cui non sempre viene rivolto il doveroso tributo e che non sempre trova spazio opportuno nella scuola italiana ancora troppo legata alla poetica della prima metà del '900.
Ci prova, con versi di armoniosa intensità, attraverso una ricercata analisi lessicale e consapevole ricostruzione del contesto storico-sociale nel quale Pasolini operò, il poeta Franco Achenza che, con sensibile fermezza, cattura a sé il lettore già in apertura della lirica P.P.P. con l' immagine del secondo verso, la suggestiva narrazione poetica di un uomo, "solitario poeta dello scarto sbarcato nella chiostra dei dannati" anticipandocene così l'epilogo di “oltraggio e ombre" della strofa conclusiva.
Di Pasolini, Achenza elogia il genio di “cantore di ossimori e tenerezze" pur senza risparmiarne la vita altra, quella degli "amari spogliatoi nella grigia arena del transitorio". ln questi versi, capaci di trafiggere ognuno di noi, costringendoci a fare i conti con la nostra parte più intima, versi immuni da ipocrisie e bigottismo, “al piano terra della vita" si afferma quanto la borghese società degli anni '60 e ' 70 avrebbe preferito tacere, omettere e negare.
"Amavi troppo la purezza, la castità che per te era salvezza. E meno purezza trovavi, più ti vendicavi cercando la sporcizia, la sofferenza, la volgarità: come una punizione [...] la cercavi proprio con il sesso che per te era peccato. Il sesso odioso dei ragazzi dal volto privo di intelligenza (tu che avevi il culto dell'intelligenza), dal corpo privo di grazia (tu che avevi il culto della grazia), dalla mente priva di bellezza (tu che avevi il culto della bellezza). [cfr. Oriana Fallaci, 1975].
Merito dunque al poeta Franco Achenza per aver destato il lettore, suscitandone attenzione, curiosità e desiderio di approfondire la biografia e l'opera di colui che è stato attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal dopoguerra a metà degli anni '70, ma, allo stesso tempo, per non averne taciuto le contraddizioni e il travaglio interiore, tratteggiando con schietto riserbo la complessità dell'anima di Pasolini, le sue fragilità, i demoni, le passioni più turpi e la dolcezza, nella certezza che proprio nella caduta si celi l'ascesa e si possa dare voce, "con assordanti versi di una solitudine sgomenta" anche agli "invisibili".
Un continuo turbamento senza immagini e senza parole batte alle mie tempie e mi oscura”.
P.P.P.
di Franco Achenza
Solitario poeta di labbra zingare
sbarcato nella chiostra dei dannati
in un tumulto di casba
canti il poema dello scarto
Rituali senza un dio
nell'ora che oscura la terra
e aizza lo spreco del cuore.
Amari spogliatoi nella grigia arena del transitorio.
Anime sfollate al pianoterra della vita
dove il gergo non si pregia
e ogni sposa è un Cristo velato
che drappeggia di finzioni la sua luna.
Batticuori allarmati
calano sotto i portici i canestri di Lazzaro
e occhi attenti vegliano la notte
nel setaccio di umanità forzate.
Cantore di ossimori e tenerezze
oltraggiato dalle ombre
in risonanze di latta
squarci il velo degli invisibili
con gli assordanti versi
di una solitudine sgomenta.