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Mani insanguinate, storie "in noir" di Maurizio de Giovanni

Racconti come atti unici dell'anima che vanno diritti al cuore

15/05/2014, 18:29 | Arte e Cultura

"Le mani insanguinate" è una raccolta di quindici racconti noir di Maurizio de Giovanni scritti in un arco dimpo compreso tra il 2005 e il 2013.

Racconti di passione, sangue e morte dove il grottesco si intreccia alla cronaca nera e alla rivisitazione storica. Racconti con un denominatore comune, la realtà mimetizzata dietro un’apparenza difficile da smascherare, ma che si rivela all’improvviso, sempre. Con un colpo di teatro.
Il racconto, a dispetto della brevità del testo, possiede una potenza narrativa  singolare: l’autore non ha i tempi del romanzo per avvincere il lettore, deve puntare a costruire un testo veloce, che si chiuda in un pugno di pagine. Senza indulgere in meandri descrittivi. Il racconto deve prendere, e subito.
E i racconti di de Giovanni prendono subito, e ci trascinano rapidamente in altre dimensioni.
Autore eclettico dalla grande capacità affabulatoria, che gli consente di spaziare con disinvoltura dal romanzo di genere al racconto umoristico, dal testo teatrale alla scrittura giornalistica, de Giovanni deve il suo successo ai romanzi della serie del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone, ambientati rispettivamente nella Napoli degli anni ’30 e nella Napoli di oggi. 
Sebbene le sue storie siano fortemente ancorate alla sua città d’origine, de Giovanni riesce a dare un tocco di universalità ai temi trattati e anche quando le sue storie sono ambientate in luoghi lontani dalla sua terra o trattano temi non squisitamente partenopei, non perde mai la sensibilità calda delle sue origini. Riesce ad essere mediterraneo anche quando parla di un paesino nascosto tra nordiche montagne.
È sempre l’anima a raccontare il teatro della vita. Con dolore, con strazio, con un sorriso amaro anche.
E questi racconti sono tutti atti unici dell’anima. Che vanno dritti al cuore.
Io e mia sorella e Quanto mi manchi in primavera sono due gioielli del colpo di scena.  Due racconti che, aldilà della differente lunghezza del testo, si leggono in un fiato e costringono il lettore a rileggere, a ricercare  il punto dove si nasconde la chiave di volta dell’arcano della storia.
E che dire di Ritornare ogni notte, dove il tema della morte fisica o presunta tale si intreccia a quella sociale? La Morte strappa agli affetti e al consesso civile, ma unisce pezzi di vita con amore poetico e compassione dolce. Come ne  Le voci dal muro,  ispirato al duplice delitto avvenuto a Castel Volturno ad opera dell’ex direttore sanitario del carcere di Poggioreale,  dove  l’Autore rilegge il calvario delle vittime attraverso i loro occhi, tratteggiando uno scenario di atrocità inenarrabile.
Ti ho visto, sai, papà? Apprezzo che, anche legata e imbavagliata, tu mi abbia lasciato vedere mentre preparavi la calce, i mattoni e il cemento. Parole che, nel loro incedere lento, trasudano terrore e follia. Indimenticabili.
Una raccolta che nel sangue si apre e nel sangue si chiude.
Ne La canzone di Filomena, una struggente storia di abiezioni profonde e di grandi riscatti, Filomena è un’orfanella dei primi anni del Novecento: della mamma ricorda solo il lento gocciolare di un sangue di parto che la porterà alla morte, del padre vorrebbe dimenticare tutto, l’abbrutimento della dolorosa solitudine e la violenza delle sue mani incestuose. Una preghiera tormentata, un’anima provvidenziale faranno sì che la vita riprenda la sua strada. Con luce serena.
In  Ex voto il dolore infinito di cinque madri alle quali la follia omicida ha strappato i figli si sublima, attraverso la preghiera e la forza della condivisione della sofferenza, in un allucinato quanto metaforico fluire di sangue dalle mani assassine. E nel convincimento che il sangue può anche lavare. E sanare le ferite, se è sangue santo. Santo come quello di  S. Gennaro.
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                                                    Maurizio de Giovanni, Mani insanguinate, Villaricca: Centoautori, 2014, pp.170. Euro 15

Annamaria Torroncelli

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