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Arte e cucina, un binomio antico (parte prima)
Un viaggio tra arte e cucina dal neolitico ai giorni nostri
02/05/2014, 12:23 | Arte e CulturaL'Arte è nata per reperire il cibo. Gli splendidi affreschi nelle grotte di Altamira o di Lascaux non avevano una funzione decorativa: servivano per catturare l'immagine degli animali da cacciare e, conseguentemente, gli animali stessi. "En las letras de 'rosa' està la rosa", disse Borges: nella mentalità dei popoli primitivi (e non solo: pensiamo alle riflessioni di Roland Barthes sulla fotografia e il suo valore evocativo) appropriarsi dell'immagine di un'entità significa appropriarsi dell'entità stessa; quindi tori e bisonti venivano "pre-cacciati" tramite la loro rappresentazione. Addirittura sugli affreschi ci sono delle "ferite" di freccia o lancia, che completavano il rituale che avrebbe portato il cibo fino alla bocca del neo-Homo Sapiens.
Il Neolitico è un periodo affascinante: nascono il tempio, la casa, la città, l'agricoltura, l'allevamento degli animali, il pane, l'olio, il vino; in poche parole, la civiltà tale come oggi la concepiamo. Il bisogno di conservare gli alimenti fa sì che si inventino i contenitori per conservarli, cioè la ceramica. Su queste ceramiche si incidevano o dipingevano dei segni per proteggere il loro contenuto; dalla funzione magico/utilitaria si passerà piano piano alla fruizione estetica autonoma. Quindi, i bisogni pratici dell'alimentazione nel Neolitico furono la causa della nascita del design, un design funzionale e bello come molti anni dopo proporrà la Bauhaus.
I grandi imperi dell'Antichità fecero dell'Arte uno strumento di celebrazione del potere; quindi la rappresentazione par excellence dell'alimentazione in Egitto o Roma era il Banchetto: le feste del Faraone o dell'Imperatore, o l'omaggio funebre alle anime dei trapassati. Gli affreschi tombali della Valle dei Re o i bassorilievi nei sarcofagi romani raccontano il mangiare come una cerimonia politico-religiosa celebrativa della gloria del Faraone-Osiris o dell'Imperatore-Dio.
Il Cristianesimo prende Dio come centro dell'Universo, e fa del mondo terreno un incidente di percorso la cui unica funzione è raggiungere la Divinità tramite la lotta contro i peccati. Il godimento del cibo è dunque peccaminoso; solo è permesso in un contesto sacrale. I dipinti delle catacombe ritraggono il pasto sacro: l'Agape (parola cara a Ratzinger) sarebbe la rivisitazione del convivio di Gesù e gli apostoli la sera del Venerdì Santo. Quando si passa dal pranzo eucaristico all'Ostia (cioè, alla comunione durante la messa), l'arte sceglie come tema per antonomasia la Santa Cena, dove Gesù istituì il sacramento dell'Eucaristia. Tema che ha dato vita a innumerevoli capolavori da Giotto a Dalì, e che riassume la posizione del cattolicesimo davanti all'atto di ingerire il cibo.
Il Medioevo è un periodo molto più ricco e complesso di quanto si pensa normalmente. Accanto al potere repressivo della Chiesa Cattolica si trovano movimenti e tendenze "contro" di una modernità sorprendente; I 'Carmina Burana' ne sono una prova inconfutabile. Questi testi -conservati in un manoscritto del Trecento ritrovato nell'Abazia di Benediktbeuren- raccolgono il pensiero dei Goliardi, preti che avevano rinnegato la tonaca e che, come gli hippies negli anni '60, giravano liberamente l'Europa in aperta sfida all'establishment. Sono poesie e melodie nelle quali la carnalità -e ovviamente il cibo- viene festeggiata e osannata ad alta voce e sfacciatamente glorificando la realtà profana, volgare, concreta, e invitando al suo pieno godimento. Questa tradizione goliardica arriverà ai giorni nostri: pensiamo a Rabelais, a Brueghel, a Jan Steen, alle 'chansons à boire' (parafrasate da musicisti del calibro di Sweelinck col suo 'More Palatino'; o addirittura di Bach, che ne cita una nella 30° 'Variazione Goldberg'), alle poesie di Quevedo o, più vicini a noi, le splendide musiche che Carl Orff compose sui vecchi testi originale dei 'Carmina Burana' e il teatro trasgressivo di Dario Fo.
Il Rinascimento fa rinascere l'Uomo come centro dell'Universo: pensiamo al disegno di Leonardo da Vinci sulle proporzioni vitruviane del corpo umano, che è diventato un archetipo onnipresente nell'inconscio collettivo. E fu precisamente Leonardo a fare del tema della Santa Cena uno dei capolavori assoluti dell'arte rinascimentale (e non solo!). Questo dipinto, sul quale si sono dette le cose più strampalate (Dan Brown è solo uno dei ultimi commentatori-fantasticatori), viene letto da noi come una rappresentazione sublime dell'equilibrio che dura un appena un istante, quel "momento pregnante" che Cartier-Bresson voleva catturare con la macchina fotografica. Equilibrio nato da una composizione dell'immagine simmetrica, serena, regolare. Immagine di un gruppo di esseri umani che hanno raggiunto la convivialità tramite l'amicizia; equilibrio che verrà spazzato un secondo dopo dalla tempesta degli avvenimenti. Il Rinascimento è calma, pacatezza, eleganza, sobrietà: la perfezione non ammette le irregolarità. E se un essere umano si è avvicinato alla perfezione, quello è Leonardo da Vinci.
(1. continua)