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"Il giudice delle donne": una storia ignota raccontata da Maria Rosa Cutrufelli

Una lettura molto utile anche oggi che ancora si discute se le mamme possono ambire a svolgere ruoli di alto profilo politico

17/03/2016, 11:44 | Arte e Cultura

Con “Il giudice delle donne” (Frassinelli, pagg.252, euro 18,00) Maria Rosa Cutrufelli indaga ancora tra le pieghe della cultura delle donne e ci regala una pagina importante per la nostra democrazia tutta.

Narra la vicenda poco nota, come molte altre della storia femminile, di come nel 1906 dieci maestre della provincia di Ancona, sostenute da una battaglia anche mediatica portata avanti da Maria Montessori, sfruttando l’ambiguità di una norma giuridica, chiesero ed ottennero l’iscrizione alle liste elettorali per il voto amministrativo nei rispettivi comuni. Infatti il voto attivo e passivo era negato alle donne e anche agli uomini di basso censo. Il procuratore del re fece ricorso alla corte d’appello di Ancona, presieduta da Lodovico Mortara, che confermò la scelta di ammissione delle donne alle liste elettorali. Ma un altro ricorso in Cassazione bocciò il giudizio del tribunale e tutto tornò come prima.

La storia è presentata da tre punti di vista differenti essendoci tre voci narranti: Alessandra, la maestrina che durante la sua prima supplenza entra in contatto con Luigia, la maestra moglie del sindaco del paese di Montemarciano, da cui è partita la proposta; Teresa, una ragazzina che ha perso la voce in seguito ad un trauma infantile, nipote del padrone di casa presso cui abita la maestrina; Adelmo, il fratello giornalista di una collega di Alessandra.
La narrazione si snoda prevalentemente su scene dialogate che, grazie alla perizia stilistica della Cutrufelli, non hanno il sapore dell’inchiostro, ma si presentano al lettore con naturalezza e ricchezza di informazioni. Alcune descrizioni della natura, soprattutto del mare e della costa marchigiana, hanno improvvisi guizzi poetici, con smaglianti metafore e sinestesie che vanno dall’olfattivo al visivo. Sono accorgimenti stilistici che impediscono al racconto di scemare nella cronaca ed invece lo fanno lievitare su un livello di evocazione, senza tradire la veridicità storica.

Ma una domanda: perché se le “eroine” nel senso più tecnico del termine, sono le maestre che con determinazione, benché restate soltanto in dieci, hanno percorso una strada tutta in salita, perché il titolo mette l’accento sul giudice? Già, il giudice delle donne, come lo apostrofarono con scherno alcuni giornali dell’epoca….Forse perché è ancora più rilevante mettere in evidenza il coraggio di un uomo, un giudice, che nonostante una sua personale convinzione, accetta di opporsi al “buon senso comune” e restando fedele al dettato di legge, si espone con un verdetto che lo farà entrare nella storia ma lo vedrà alla fine perdente.  E’la stessa Cutrufelli, attraverso il suo personaggio Adelmo, a darci una convincente spiegazione del perché il giudice Mortara si sia comportato così. Adelmo va ad intervistarlo e, tornando in treno verso la Redazione, riflette: “ Mi sono ricordato che Lodovico Mortara è ebreo e che per gli ebrei, prima dello statuto, era impossibile accedere ai gradi accademici, avere una cattedra o una carica civile: solo in virtù dello statuto Lodovico Mortara è diventato, di fronte alla legge, un cittadino uguale agli altri”. Così l’ebreo, anzi l’abreo come lo chiama Emilia, un’amica di Alessandra, ha voluto cancellare un’ingiustizia che pesava sulla donna,  perseguitata come la sua gente…

La scelta stilistica di presentare la vicenda attraverso tre punti di vista differenti, aggiunge veridicità al fatto storico in quanto la vita reale non è mai ad una direzione, ma si presenta alla nostra coscienza filtrata dall’ interpretazione di diverse voci, da più angolazioni…
Teresa che è muta dopo un trauma infantile: Alessandra scoprirà soltanto dopo aver conquistato la confidenza delle donne del paese, che la bimba aveva visto morire la madre di aborto che si era procurata per nascondere un gravidanza colpevole in quanto il legittimo consorte era emigrato da due anni…Mi ricorda Marianna Ucrìa di Dacia Mariaini, diventata mutola in seguito ad uno stupro subito: lo spavento ed il dolore tolgono la voce in gola alle donne…

Oltre le pagine di giusta rivendicazione del diritto di voto, che proprio in quegli stessi anni arrivava dall’ Inghilterra e dagli USA, mi sono piaciute perché le ho trovate cariche di verità, le pagine in cui è affermato l’orgoglio per il lavoro di insegnamento, il lavoro delle maestre che “come ama ripetere la signora Eufemia, sono peggio delle zingare:oggi in un posto domani in un altro”.
Le maestre non sono maestrine, rifiutano il diminutivo rassicurante e dispregiativo con cui anche la stampa le apostrofa. La Cutrufelli trova un modo ironico ed intelligente per farcelo capire: Alessandra da il diminutivo di “ufficialetto” al militare che prima così le aveva chiamate: “Una maestrina, aveva ripetuto sovrappensiero, strascicando la parola . Quindi ha raddrizzato le spalle dentro l’uniforme e mi ha lanciato un’occhiata di rammarico (…) Dopodichè è risalito sul treno (proseguiva per Bologna) ed io l’ho dimenticato : non era che un banale ufficialetto”.

L’attenzione all’impianto narrativo che Maria Rosa Cutrufelli dimostra ancora una volta, è manifesto anche dalla cura “circolare” con cui il libro si apre e si chiude. Infatti i due capitoli di incipit ed excipit sono gli unici senza il nome del protagonista, ma il libro si apre con “Notte”:è Teresa che bambina assiste all’aborto della madre, una scena terribile che le toglie la voce, e si chiude con “Giorno” in cui è sempre Teresa , a Genova, in attesa di imbarcarsi per l’America dove ha saputo vive il padre: Il romanzo si chiude così con una pagina di speranza verso il mare aperto…
Ultimando la conoscenza di queste dieci maestre coraggiose, penso anche a Grazia Deledda che nel 1909 non si oppose a che il partito Radicale la candidasse alle elezioni al Senato nella nativa Nuoro: ovviamente era una provocazione per protesta, anche da parte del nostro Premio Nobel. Una lettura molto utile anche oggi che ancora si discute se le mamme possono ambire a svolgere ruoli di alto profilo politico!

Neria De Giovanni
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