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Tra l’assurdo e il nulla: la Favola teatrale di Franco Idone
“Le storie non ci interessano, non le sappiamo vivere, ma dopo non puoi non raccontarle”
20/01/2016, 16:35 | Arte e Cultura
Teatro San Genesio, a due passi dalla sede storica della RAI: due maxischermo accolgono gli spettatori, uno sullo sfondo del palco, l’altro sulla parete destra, accanto alla tenda. Sono già un preavviso di quanto si preannuncia uno spettacolo particolare, forse anche multimediale, forse in contaminazione tra immagini ed attori, forse…
Ma certamente alla fine di “Circo Boltan” di Franco Idone, (regìa di Claudio Capecelatro, organizzazione Associazione Culturale For.Te) si esce dal teatro ammutoliti, senz’altro coinvolti, ma anche consapevoli di aver assistito ad una rappresentazione dove immagini, suoni e parola recitata hanno contribuito ad un’atmosfera irreale-realissima, che ha avvolto lo spettatore per più di un’ora…
Ma andiamo con ordine. L’intreccio, non facile da riassumere: sui maxischermo si assiste ai preparativi di una partenza, anzi di due partenze viste le due valige, identiche: in una, in bella mostra, il libro dal titolo strillato Il filioque, la seconda valigia con l’aggiunta, sulla biancheria, di tanti fogli, apparentemente contratti pronti per essere firmati.
La galassia con la voce delle stelle si impossessa dei maxischermi,poi un aereo in volo e finalmente il palco si anima con i due viaggiatori: hanno un trolley uguale ed una maschera bianca che ne annulla i lineamenti: due sosia che ripetono “veniamo dal cielo” al barista della piccola città il quale a sua volta risponde dallo schermo. Un incidente aereo li ha fatti miracolosamente atterrare in questa città sui Balcani, il cui nome, tradotto dal greco significa “nulla”.
L’unico albergo restato aperto nel mezzo della guerra che apprendiamo essere in atto, fornisce la camera 123 ad uno dei viaggiatori, l’intellettuale che si recava a Sofia per per un convegno sul filioque. Il personaggio sottolinea la simbologia del 1, padre, 2 figlio, 3 padre e figlio, filioque, tre in uno…Lo spettatore inizia a mettere insieme i tasselli di questo puzzle: la città è Sofia, la sapienza, l’intellettuale si interessa della esistenza del divino; e l’altro? È un imprenditore, così si autodefinisce e nel corso della rappresentazione apprendiamo che ha un commercio alquanto singolare: compra e vende ovociti per l’inseminazione artificiale! Il sangue della carne poco cotta chiesta espressamente dai protagonisti nel ristorante dell’albergo, pare anticipare la cruda realtà: la regione balcanica è sconvolta dalla guerra e dalla morte.
In questo momento entrano in scena i musicisti, bravissimi, del Gruppo di musiche balcaniche Est!Est!Est!, accanto agli attori che raccontano di come, due anni prima , due stranieri fossero caduti dal cielo. Il tempo della racconto che è andato avanti…
E finalmente il circo Boltan : uno dei due stranieri “caduto dal cielo”, lo straniero senza nome per sopravvivere accetta di fare il domatore di tigri nel circo ma poi, raccontano i sopravvissuti della città bombardata, lo stesso straniero era stato divorato dalla tigre…Ma la morte dell’uomo venuto dal cielo è avvolta nel mistero: era o no l’amante della trapezista e perché la donna ha voluto fare l’amore vicino alla fiere, per eccitarsi davanti al pericolo, ancora eros e thanatos uniti, come in molti testi anche narrativi di Franco Idone?
Non voglio proseguire nel racconto perché spero che ci siano altre repliche di questo testo che dal Teatro San Genesio possa approdare ad altri teatri, per altri spettatori.
D’altronde uno degli attori dichiara: “Le storie non ci interessano, non le sappiamo vivere, ma dopo non puoi non raccontarle”: ed è quello che Idone fa con il suo teatro. Racconta storie apparentemente assurde ma che lasciano una profonda consapevolezza di verità taciute, sepolte nel nostro inconscio…Così i due “venuti dal cielo”, dopo si ritrovano in aeroporto, ritornano alla loro città; ma uno non era stato divorato dalla tigre? E l’altro non aveva chiesto asilo in monastero, mentre una voce minacciosa e suadente insieme comandava a lui che non sapeva odiare: “ Il padre celeste vuole la guerra va e combatti”. Ma siamo poi certi che i due, il filosofo e il commerciante, siano realmente due e non un’unica persona con il suo doppio? I loro nomi sono il rovescio di quelli reali, il rovescio di Nerone e di Seneca, e anche i trolley, scambiati nella rovinosa discesa dal cielo, forse erano anch’essi uno solo, come uno il loro padrone?
E la città di Nulla è per sempre stata sepolta sotto le macerie della guerra?Una guerra i cui tremendi rumori di bombe e dolore chiudono lo spettacolo offrendo una terribile attualizzazione: la guerra trasformata in guerra santa al grido del “dio lo vuole”…
I nostri uno-due protagonisti si tolgono la maschera ma lo spettatore non ne è rassicurato: si porta con sé un’aura di angoscia, di consapevolezza del vuoto, delle troppe domande che non ho saputo evitare neppur io in questo mio racconto che quasi sarcasticamente la locandina sottotitola: Favola Teatrale in tre quadri.
La risposta rischia di essere assurda, come è assurda la guerra che si combatte in nome di Dio; come è assurda, forse, la vanità dell’uomo che crede di essere immortale…