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Madame Bovary “c’est …nous”?
Flaubert usa il genere femminile per rappresentare un mondo in cui tutti ci troviamo vittime di uno sfasamento tra quello che siamo e quello che vorremmo essere
24/08/2015, 18:48 | Arte e CulturaHo appena terminato la lettura in lingua originale del celebre romanzo di Gustave Flaubert e mi è venuto spontaneo chiedermi Madame Bovary “c’est …nous?”.
Non è che parafrasando la famosa affermazione dell’Autore sia stato preso da improvvisa esaltazione, ma mi è sembrato che tra le tante interpretazioni del romanzo, da quella pseudo femminista a quella sociologica di critica della società borghese, fino a quella propriamente psicologica del “bovarismo” inteso come tendenza tipicamente “femminile” a costruirsi una personalità fittizia, mi sembra che la più appropriata sia quella di vedere in Emma un personaggio con caratteristiche umane e psicologiche "unisex", perché Flaubert rintraccia in Madame Bovary un sentimento diffuso nell'umanità tutta: desiderare più di quello che si ha, e, conseguentemente, scontrarsi con la disillusione, il rammarico e l’impotenza nel determinare il domani nella sua interezza su cui spesso, purtroppo, si infrangono aspettative, sogni e aspirazioni della nostra vita.
Senza per questo volere tutti inseguire amori impossibili, non è forse vero che talvolta ci soffermiamo a pensare che cosa sarebbe stata la nostra vita se avessimo incontrato una certa persona, o avessimo trovato un lavoro migliore, o se, semplicemente, ci fossimo potuti dedicare a seguire le nostre ambizioni? C’è qualcuno al mondo che può sinceramente ritenersi esente dall’aver pensato, magari solo in qualche momento della sua vita, di essere oppresso nelle occupazioni quotidiane e di non poter esprimere adeguatamente qualche talento di cui si sente portatore?
Madame Bovary si estranea dall'esistenza quotidiana, desidera essere altrove, immersa in una vita più romantica, lontana dalle preoccupazioni di ogni giorno. Emma non riesce ad apprezzare i motivi di felicità, che pure si sforza a volte di ricercare, nel matrimonio con un marito premuroso, seppure mediocre, e nelle incombenze della maternità, ma inevitabilmente li svilisce paragonandoli con le immagini di una vita diversa e più appagante.
«Nel fondo della sua anima, Emma aspettava che qualche cosa accadesse. Come i marinai in pericolo, volgeva gli occhi disperata sulla solitudine della sua vita e cercava, lontano, una vela bianca tra le brume dell'orizzonte. Non sapeva che cosa l'aspettasse, quale vento avrebbe spinto quelle vele fino a lei, su quale riva l'avrebbe portata, né sapeva se sarebbe stata una scialuppa o un vascello a tre ponti, carico di angosce o pieno di felicità fino ai bordi. »
In definitiva, la ricerca di un amore romantico è per Emma, semplicemente la consapevolezza della propria solitudine.
Certo, Madame Bovary è anche una figura femminile ingabbiata nella società maschilista del suo tempo, l’Ottocento, che vede le donne solo come spose fedeli e madri amorose, e che trova persino censurabile che si potesse scrivere una vicenda come quella narrata nel romanzo il quale, appunto, appena uscito nel 1856 fu considerato un oltraggio alla morale pubblica.
« Ma una donna ha continui impedimenti. A un tempo inerte e cedevole, ha contro di sé le debolezze della carne e la sottomissione alle leggi. La sua volontà, come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c'è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene.».
Romanzi come Madame Bovary ci aiutano ad entrare in quel mondo in cui l’altra metà del cielo è ancora relegata, senza che la sua volontà di affermazione riesca a trovare mai ascolto: e il pensiero va a tutte quelle donne che tendono a vedere nella “sottomissione” a un uomo non tanto il problema, quanto soprattutto la soluzione a una condizione femminile vissuta come una gabbia.
Questo nel racconto viene rappresentato dal desiderio di sposarsi per iniziare il proprio cammino di successi; nella nascita di un figlio che, se maschio, cambierà la visione e l'importanza che il mondo, marito compreso, avranno di lei, ma che, per sua sventura, nascerà femmina …
Flaubert usa il genere femminile per rappresentare un mondo in cui tutti ci troviamo vittime di uno sfasamento tra quello che siamo e quello che vorremmo essere, affidandoci passivamente al trascorrere degli anni e sperando che la casualità della nostra vita ci porti, prima o poi, a riconciliarci con i nostri desideri.
In realtà non esiste alcun motivo per cui “tra qualche tempo” la situazione possa essere significativamente migliore.
D’altro canto, nessuno può ragionevolmente pensare di realizzare tutti i propri desideri: occorrerà, in qualche caso, fare uno sforzo di volontà per indirizzare la nostra vita verso quelle mete che vorremmo raggiungere; in altri casi occorrerà rassegnarsi a non vedere esauditi i nostri desideri e farsene una ragione.
Questo non significa rinunciare a tutte le proprie aspirazioni semplicemente perché non sono immediatamente e facilmente raggiungibili. Se così fosse, verrebbe a cessare quella spinta che ci porta ad evolverci ed a progredire, sia come singoli che come collettività.
Concludo queste brevi riflessioni con le parole di una celebre preghiera di Thomas More rinchiuso nella Torre di Londra:
"Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre.
"Dammi Signore, un anima che abbia occhi per la bellezza e la purezza, che non si lasci impaurire dal peccato e che sappia raddrizzare le situazioni. Dammi un anima che non conosca noie, fastidi, mormorazioni, sospiri, lamenti. Non permettere che mi preoccupi eccessivamente di quella cosa invadente che chiamo ‘io’.
“ Dammi il dono di saper ridere di una facezia, di saper cavare qualche gioia dalla vita e anche di farne partecipi gli altri. Signore dammi il dono dell’umorismo."