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Il tenente dei carabinieri, Rocco Liguori, torna sulla scena.
Un Riccardi sempre più intrigante e sorprendente. Affilato e delicatissimo, livido e solare, severo e ironico. Una conferma, qualora ce ne fosse bisogno, della sua scrittura di grande qualità .
04/05/2015, 13:23 | Arte e Cultura
…c’è una fase della vita in cui quanto possediamo può entrare in un portabagagli di media capacità. Coi sentimenti è più difficile, li metti da una parte e si spostano, decidono loro dove andare e non ti resta che farci i conti, prima o poi.
Il tenente dei carabinieri, Rocco Liguori, torna sulla scena. Questa volta a Palermo, dove Nino Calabrò, suo amico d’infanzia, decide di diventare collaboratore di giustizia e chiede che le indagini e la protezione della sua famiglia siano proprio affidate a lui.
Dopo Undercover. Niente è come sembra, una storia ambientata nel mondo del narcotraffico, e Venga pure la fine, una vicenda che si svolge sullo sfondo del conflitto balcanico, sarà un caso di mafia a tenerci con il fiato sospeso. Nello spasmodico desiderio di scoprire ancora una volta di chi sia la vittima e chi il carnefice e in che misura lo sia.
Perché, una volta in più, niente è come sembra.
Il coltello e la chiave erano la sua condanna annunciata fin dalla culla, il bivio che nelle famiglie di rispetto non offre alternative: finire nella ‘ndrangheta o sull’opposta barricata. Alla sua sorte non si era ribellato. Aveva seguito le ombre paterne, prestando il giuramento col santino e recitando la formula solenne che dà accesso al paradiso degli iniziati, l’Onorata Società.
Così inizia la carriera mafiosa di Nino Calabrò, nel rispetto di una consolidata tradizione. E nel rispetto di tale tradizione la vicenda si dipana tra intrighi e trame occulte. I fili del puparo, appunto. Il regista che muove le marionette dall’oscurità delle quinte.
Come sempre Riccardi trae ispirazione dalla sua esperienza professionale di ufficiale nell’Arma, descrive alla perfezione l’ambiente militare con i suoi linguaggi e le sue logiche (Ma noi carabinieri siamo bravi a lasciar filtrare la sostanza fra le strette maglie della forma), e sa tenere in pugno il ritmo della narrazione.
Il maresciallo si rassegnò. Dal suo corposo bagaglio professionale faceva parte anche la nozione più difficile: distinguere l’urgente dall’importante. Quei fogli stampati nella sala intercettazioni appartenevano di diritto alla seconda categoria, ma non necessariamente alla prima. Così era preferibile attendere, piuttosto che parlare di certe faccende per telefono.
Riccardi conferma la sua particolare attitudine a descrivere ambienti diversi, geograficamente e socialmente lontani: la sua precisione nel cogliere tratti distintivi di territori estranei alla sua origine anagrafica ci illumina un’anima che con morbidezza di creta, ha fatto proprie esperienze e su di esse si è modellata. E così, ogni volta, lo vediamo padroneggiare l’anima siciliana, balcanica, o sudamericana.
Ma la storia non affoga soltanto nei freddi resoconti della violenza, negli orrori delle strategie mafiose, nel mare insanguinato dalla mattanza dei tonni. L’Autore lascia anche ampio spazio al racconto degli stati d’animo.
Ecco, allora, la descrizione dell’emozione del primo lancio con il paracadute.
L’infinito era lì e si toccava, aveva un’intensità che potevo abbracciare. Aprii la bocca e mi entrò nei polmoni, a occhi chiusi continuai a vederlo, meraviglioso come l’istante in cui ti innamori, sorprendente come un arcobaleno. Era un’emozione misteriosa, originata da un segreto che a raccontarlo non si svela, per conoscerlo bisogna stare lassù, bisogna essere una foglia.
Oppure, degli effetti della paura.
La paura è uno strano animale, aggredisce quando il pericolo è ormai alle spalle. Sul momento prevale la tensione, l’adrenalina fa il suo mestiere e al rischio fisico non si pensa, si è come nell’ovatta. Esplode a distanza, magari mentre parli al telefono con un tecnico di laboratorio che ha inserito la morte in una routine di turni del personale, liste di attesa dei reperti da esaminare, riposi settimanali e deleghe in scadenza dell’autorità giudiziaria. Solo allora ti accorgi che, nascosta tra le pieghe di tanta impensabile burocrazia, poteva esserci la tua fine o quella di un tuo caro.
O ancora, il parlare d’amore. Dedica un intero capitolo alla sofferenza sentimentale di Rocco, alla confessione delle radici del suo disagio, al tentativo di discolpa di non vedere una fuga in ogni partenza.
Ci sono silenzi e segreti in ogni relazione, che sia d’amore, d’amicizia o di lavoro poco importa. Bugie dalle quali ci assolviamo con l’alibi di voler evitare sofferenze a chi ci ama. La verità è spesso più semplice: le cose non dette sono conseguenze di colpe inconfessabili.
Ci si innamora dell’altro come si apprende una lingua sconosciuta. È un fatto graduale che richiede passione e costanza. Si scopre ogni giorno qualcosa, ci si può imbattere in un termine nuovo. Da oggi in poi voglio imparare il tuo cuore.
Un Riccardi sempre più intrigante e sorprendente. Affilato e delicatissimo, livido e solare, severo e ironico. Una conferma, qualora ce ne fosse bisogno, della sua scrittura di grande qualità .
Quindi, non possiamo che dire: avanti così, Rocco, ti aspettiamo alla prossima avventura.
Roberto Riccardi, La firma del puparo, Roma, Edizioni e/o, 2015, Euro 16,00