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Cagliari, tuffo con brivido nelle Saline del primo novecento, di Valerio Calzolaio

10/03/2021, 10:24 | Arte e Cultura

Fine agosto 1905. Cagliari. Al passaggio di turno dei salinieri, viene trovato un cadavere di ragazzo, un corpo piccolo e sgraziato tra il fango e la sabbia, apparentemente affogato nel canale principale della salina in concessione regia al conte Cappai Pinna. Clara Cio-Cio-San Maylin Simon, bellissima coraggiosa ribelle esotica, lunghi capelli neri, dalla nascita orfana della madre (origini cinesi, cantonesi) e del padre Francesco Paolo (capitano della reale marina, disperso in guerra), cresciuta dal benestante immenso nonno Ottavio (proprietario della Compagnia di Navigazione), viene indotta ad approfondire il caso dalla sigaraia Serrana e dalle altre lavoratrici della manifattura.

La fabbrica è proprio di fronte al suo luogo di lavoro. Lei è l’unica giornalista donna dell’isola, lavora all’Unione (il quotidiano dei sardi, quattro dense pagine), ma ora è stata sospesa per aver osato far venire a galla una verità scomoda: è finita in un sottoscala a correggere le bozze di due rubriche di scarso valore e può mettere piede in redazione solo due volte alla settimana. I potenti ce l’hanno con lei, lo stesso conte Roberto Cappai Pinna, padrone di una buona fetta di città, appena può le sussurra che è infastidito pure solo dal vederla in giro. Il suo capo Ugo Fassberger, capelli color carota, corregge sempre e spesso firma direttamente lui i pezzi che lei ben scrive, comunque è un amico. In realtà, sono molti i bambini scomparsi negli ultimi mesi, forse non tutti morti. Li chiamano piciocus de crobi, bambini dei cesti, spesso figli di prostitute, perlopiù facchini del mercato, orfanelli che vivono ai margini della società “civile”. Clara si fa accompagnare da Ugo all’altra sua casa di fronte alla spiaggia del magnifico Poetto, poi gli propone una bella gita alle saline, vuole indagare e lentamente, pericolosamente, fa venire alla luce la sordida vicenda criminale e altri discutibili affari (e forse intravede pure qualche traccia su ciò che è accaduto al padre). Non sarò facile uscirne vivi.

L’ottimo giornalista e scrittore Francesco Abate (Cagliari, 1964) narra un’avventurosa storia di oltre un secolo fa: le saline e la Tabaccheria, il porto e il nuovo palazzo civico in costruzione, i poteri forti e la lotta di classe, muratori e operai, donne e uomini, lavoro giovanile e dinamiche giornalistiche. La narrazione è in terza varia, prevalentemente sull’indomita Clara, protagonista destinata a divenire seriale. Magari sempre in tesa coppia (piena di attraenti schermaglie) con l’investigatore ufficiale, il giovane tenente dei carabinieri Rodolfo Saporito, baffi e pizzetto d’ordinanza, labbra scure e carnose, subito stregato dall’affascinante ragazza. La ricostruzione dell’urbanistica d’inizio Novecento è accurata; l’autore ha fatto affidamento e cura di vecchie foto di famiglia, filmati e giornali d ’epoca, saggi e guide. Troviamo un interessante spaccato di storia, non solo sarda: povertà, malattie, fame, voglia di riscatto e fermenti rivoluzionari nei confronti sia dell’aristocrazia borghese che del maschilismo imperante. Lo stile appare raffinato e godibile; anche il piglio è fresco, divertito e divertente, pur se l’autore forse ricorre un po’ troppo a dialoghi e situazioni a noi contemporanei e rischia di far risaltare più alcune analoghe tensioni di oggi. L’aitante solidale proletariato intona con libertà e tono sia Addio, fiorito asil dalla Madama Butterfly, sia l’inno anarchico Nostra patria è il mondo intero.

Il romanzo è stato fra i cinque finalisti dell’edizione 2020 del Premio Scerbanenco.

I delitti della Salina
Francesco Abate
Noir
Einaudi Torino
2020

 

VALERIO CALZOLAIO
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