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“Le cose del mondo” di Paolo Ruffilli: “Parto sempre solo per tornare”, di Neria De Giovanni

12/05/2020, 10:57 | Arte e Cultura

“Le cose del mondo” è l’ultimo sorprendente libro di poesia di Paolo Ruffilli per la prestigiosa collana “Lo specchio” di Mondadori (gennaio 2020, pag.208, 20 euro).

Il volume porta il titolo di una delle sezioni che presenta, in ordine alfabetico, appunto l’universo di oggetti che ci circondano dall’Anello e l’Armadio con la A al Tacco e Vocabolario nella conclusione. Il corsivo che chiude questa sezione ricorda l’antico dilemma filosofico se le cose esistano al di fuori del nostro sguardo che li osserva, il perenne dissidio tra la realtà oggettiva e la soggettività del reale: “Ma cosa fanno le cose quando/sfuggono di vista al controllo/che su di loro esercitiamo?” (…) O basta che solo le pensiamo/ e di per sé succede che il pensiero/nominandole faccia da tiranno/ ad annullare la sua libertà?”
 

Paolo Ruffilli sembrerebbe, dunque,  il poeta delle cose, del rassicurante mondo degli oggetti che vivono perché noi esistiamo.
Noi con il nostro intero corpo, il nostro completo sentire con tutti i nostri sensi, i nostri organi, anch’essi diventati oggetto poetico nella sezione “Atlante anatomico”dalla “a” di “Ascelle” alla “V” di “Vulva”.
“Le cose del mondo” condensa l’esperienza poetica di oltre trentanni, con voce originale e riconoscibile anche attraverso e oltre le mode che si sono susseguite.

Si apre con il viaggio, racconto in versi “Nell’atto di partire” come si intitola la prima parte. Assistiamo alla descrizione del poeta alla stazione, in treno, a contatto con viaggiatori frettolosi o pensoso di fronte al finestrino. Ma come dice Ruffilli “parto sempre solo per tornare” e non soltanto paesaggi dietro i finestrini di un treno in corsa, ma anche “pullulare di case” e “ un qualche interno:/ il letto sfatto, un bagno e la cucina./ Il gatto e un vaso, al pavimento”. L’interno dell’appartamento su cui il poeta getta uno sguardo sembra profeticamente riprodurre la quotidianità di questi nostri giorni: “Dalla vetrata aperta sul terrazzo/qualcuno che tenta di sottrarsi e/che si stende in fretta sul divano/lasciando un braccio sollevato in alto,/ la mano senza presa tra le tende al vento”.
 

Ma il treno della vita di Paolo Ruffilli e della sua poesia riprende la corsa e il poeta in giro per il mondo “vivo un’altra volta”.
Paolo Ruffilli non ha timore di condurci dentro i più intimi e personali affetti, nella sua vita non soltanto intellettuale ma più privatamente personale come dimostra la sezione “Morale della favola”, dedicata alla figlia. Riflessioni sull’importanza di un tempo che fugge facendoci correre il rischio di trascurare persone o eventi importanti nella nostra vita. In “Conferme” la domanda “Ma tu, papà mi ami?” sintetizza paure a volte incomunicabili.

 

Il viaggio poetico di Paolo Ruffilli continua tra code  interminabili in uffici, in sale d’aspetto, petizioni e istanze per poi accorgersi che la vita come diceva il grande Eduardo non è altro che un’esame continuo: “Ma poi finisce che non è mai finita/e c’è ancora e sempre un’altra cima/da conquistare su per la salita/(...)” dalla lirica significativamente intitolata “Successo”.
Certo in tutte le sezioni del libro, è sempre l’io poetico l’occhio guardante ed osservante “le cose del mondo”. Eppure non possiamo certo definire la voce di Paolo Ruffilli come narcisistica o ego-centrata. È anzi la volontà di chi affronta il viaggio della vita nella consapevolezza che solitudine e  incomprensione facciano parte della nostra esistenza, che si rafforza nonostante il vuoto ed il dolore non taciuti.

Così in “Tardi”:  “Quanti deserti ho attraversato .../Mai per un attimo neppure/arreso all’evidenza della mia ferita. (...)/capace invece contro la mia attesa/di trarre l’energia dal vuoto e dal dolore (...)/diventato con sorpresa (strana, mi dico,/la mia sorte) via via più forte per la vita/avanzando e avvicinandomi alla morte”.

La poesia di Ruffilli è una poesia racconto e di tale modalità ha il verso lungo, colloquiale, quasi diretto.
Ma affronta anche l’iconicità della parola rarefatta, con figurazioni metaforiche e stilisticamente ardite proprio nell’ultima lirica “Interrogativi” che si snoda in nove momenti, come una piccola rapsodia. Il primo, “L’urlo del silenzio”, si apre con una sinestesia tra vista ed udito: “Quale è il colore/che più tace/nell’urlo del silenzio?” e si va avanti fino al punto nove che si chiude anch’esso con una interrogazione, motivando il titolo del poemetto: “La nostalgia del mare” può trascinare con sé mostri, fantasmi, “dispersa e trascinata/dalle onde?”
Come la vita.

 

“Le cose del mondo” di Paolo Ruffilli ci conduce dunque in un viaggio tra cose conosciute aprendo spiragli di dubbi e saggezza. Il suo verso è sempre ancorato alla concretezza della vita, con capacità speculativa che restituisce al linguaggio poetico una delle sue più antiche e originarie funzioni.
Ed il lettore si accomoda accanto al poeta sul vagone di un treno “Carico di gente, di storie e luoghi”.

 

NERIA DE GIOVANNI
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