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ll giorno di Pasqua del 1999 ci lasciava Francesco Grisi. Ricordando, di Pierfranco Bruni
12/04/2020, 19:45 | Arte e Cultura
Era il giorno di Pasqua del 1999. Moriva Francesco Grisi. Il 4 aprile.
Anni lunghi sono trascorsi. Anni che non hanno mai diviso i nostri incontri. Tra la vita e il ricordare. Lo scrittore Francesco Grisi nato il 9 maggio del 1927 e morto come già detto,il 4 aprile del 1999 è un tracciato nella mia vita. Con le sue parole e la sua ironia. Con il essere cristiano nolente o volente. Ma anche eretico lungo le strade di Prezzolini e Buonaiuti. Ma il suo raccontare trovava sempre un punto di riferimento sia nei monaci del deserto sia nella figura del gigante San Francesco di Paola.
Nei suoi romanzi tutto questo è scritto. Ma dopo i numerosi libri che ho dedicato a Grisi mi sono imposto di rileggerlo nella sua complessità partendo da “A futura memoria”, “Maria e il vecchio” e “La poltrona nel Tevere”.
E attraverso i suoi libri di poesia. La poesia segna il cammino degli spiriti inquieti.
Noi siamo nella inquieta solitudine della ricerca. È stato un maestro, nella sua coerenza, per come ha testimoniato, per come ha vissuto, per come ha amato. Sulla mia scrivania non mancano mai i suoi libri. Un vizio. Ma non assurdo. Di vizi assurdi abbiamo parlato tanto discutendo su Pavese. L’ho incontrato in una Roma infuocata. Era il 1978. L’anno della morte di Giuseppe Berto e Ignazio Silone.
Ebbi modo di conoscere Grisi alla Libreria Croce di Roma in Corso Vittorio Emanuele. Si presentava un libro di Alberto Bevilacqua. Anni terribili. Mi colpì la sua pazienza e la sua ironia fu una lancia. Sapeva leggere la storia con i raggi del futuro.
Capiva il presente con l’interpretazione del quotidiano. Viveva il moderno con lo scavo nel contemporaneo. Sono passati anni lunghi e il tempo è infallibile. Dalla memoria alla nostalgia. Dal ricordo alla solitudine.
Mi ha lasciato, qualche ora prima che andasse in coma, con queste parole: “…lascia stare tutto ciò che ti circonda. È un istante. Non dimenticare mai che sei uno scrittore, un poeta… Scrivere è un mestiere nella solitudine. Lo scrittore è sempre solo. Nella santità e nell’alchimia. Non vivere mai un amore e non pensare che possa esistere il grande amore. Esiste l’amore e gli amori. Quando il silenzio prenderà il sopravvento sulla parola. Continua ad ascoltarti. Arriverai ad un altro libro. Ciao!”.
C'è tutto il Francesco Grisi poeta da riscoprire. Ne ho parlato in un testo edito da NEMAPRESS: "Da Cutro alla Magna Grecia in Grisi".
Il viaggio nella poesia e la poesia che si fa viaggio. Poeta del viaggio. Poeta del ritorno. Un linguaggio che si abbandona al racconto e si lascia ascoltare non con una tensione narrante ma con un battuto lirico che ha richiami di antichi segni metaforici. Il raccontare è soltanto un incidere nel linguaggio anche se la punteggiatura resta comunque nella cadenza poetica.
La poesia di Francesco Grisi è una recita costante che si definisce su alcuni riferimenti di fondo. La materia del linguaggio è parola vissuta, sofferta, angosciata. Il linguaggio è un’onda di nostalgia che si intreccia a delle dimensioni oniriche che ritrovano eredità messianiche e approfondimenti ellenici.
La Calabria di Pitagora o il cielo della Magna Grecia rendono alcune delle tante fisionomie del Mediterraneo:“Il Mediterraneo/è la mia piazza infinita”.