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DA TIRANA ALL'ACROPOLI, IL VIAGGIO DI ARJAN KALLCO

La riflessione sul tempo, è il fil rouge che percorre la lirica di questo sensibile poeta albanese, novello Kavafis

03/09/2014, 18:03


Il viaggio è l'occasione che muove la poesia di Arjan Kallco e che lo porta a tratteggiare i luoghi visitati, da Atene e Salonicco, sia  nei resti delle antiche vestigia, sia  in anonimi bar nei quali egli sosta. Il viaggio è inteso come ricerca dei luoghi in cui la poesia occidentale ha avuto origine, la Grecia, ma anche la dimensione in cui ritrovare se stessi e poter incontrare, sebbene per un fuggevole attimo, l'amore. Nella poesia di Arjan Kallco emerge la ricerca della classicità come rievocazione di un passato che è alle radici della nostra storia e della nostra modernità. I resti architettonici ricordano i filosofi e i poeti che non hanno voce da secoli e sembrano richiamare l'attenzione del poeta che attraversa le rovine dei templi.
Il rimando ed il legame tra passato e presente prende la forma di fantasmi femminili, in una dimensione onirica e fantastica in cui i volti mortali si mescolano con quelli delle divinità. Si susseguono profili di donna, la cui bellezza classica e la cui lontananza ontologica vengono destabilizzate da segni di modernità che irrompono tra i versi come uno squarcio: le luci sfolgoranti delle città o il cellulare che squilla tra i resti dell'Acropoli. L'emblema dell'amore romantico e tragico, il dramma shakespeariano di Romeo e Giulietta, riprende vita e si rinnova in chiave moderna, tra l'ironico e il disilluso: lui è a suo agio tra le dee di Atene mentre lei lo attende all'eterno balcone di Verona.

Il vagare del poeta pertanto richiama una condizione della dimensione umana: l'essere sospesi tra spazi temporali, in un recupero continuo di ciò che è stato per dare senso a ciò che ora si è, al divenire. Panta rei, tutto scorre, ma secondo un percorso predestinato. La bellezza è sempre pervasa dalla malinconia dettata dalla consapevolezza della dissolvenza di luoghi, volti, ricordi.

La riflessione sul tempo, è il fil rouge che percorre la lirica di questo sensibile poeta, novello Kavafis. Egli a volte spera di arrestare il corso degli eventi, come un viaggiatore su un treno immerso nella nebbia e rischiarato solo da imprevedibili sprazzi di luce. Forse è solo la luce della sua poesia, sempre misurata, con uno sforzo stilistico che si distende in egual misura dall'incipit alla chiusa, a dare senso e direzione alla ricerca esistenziale di Arjan Kallco. Il suo continuo interrogarsi lo conduce infine a volgere lo sguardo all'immensità, all'infinito, poiché è nel percorso in ascesa, nello sgomento quasi ebbro dell'uomo davanti all'immensità del creato, la via della libertà.

 

Mai stancarsi di vivere 

Gli anni come il tic-tac
Dell’orologio scatenato che
Indietro piu’ non puo’
Corrono verso il proprio
destino.
Passano battito dopo battito
In un ritmo armonico con
Il  cuore e
Finora non si sono mai sentiti
traditi.
A volte allentano la presa
quando
Si rivolgono al tempo che
fugge per
Farci capire la bellezza della vita, per
Poi riprendere il
frenetico il cammino.
Non sono convinti dell’infinito che
superbo
Signoreggia su questo nostro
mondo, neanche sazi
Del tuo sacrificio.
Avanzano
spudorate
Pretese nei tuoi confronti, ma
felici del
Sentiero finora percorso.
La
gloria e’
La gioia dei giorni
intensamente vissuti.

 

Arjan Th. Kallço 27 novembre 2013

Miriam Badiani

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