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LA MIA ALBANIA HA LO SGUARDO PROFONDO DELLE DONNE ADRIATICHE

12/12/2018, 12:05
Pierfranco Bruni

L’Albania ha il colore degli Orienti e il canto balcano. Tirana è una città che ha la memoria nel cuore, ma che riesce a guardare con molta sensibilità al futuro. Una città che si porta dietro uno strascico di ricordi, di problemi, di questioni irrisolte. Come gran parte delle città albanesi, anche Tirana è profondamente cambiata negli ultimi anni.

Ho abitato più volte l’Albania in città come Scutari, Valona, Tirana, Korce e Durazzo. Soprattutto negli ultimi tre anni, dal 2015 al 2018, si è assistito ad un radicale mutamento poiché è cambiato il modello di confronto con un Occidente che ha assorbito le culture dei vari Orienti, ma che ha anche saputo restare racchiuso all’interno di una propria tradizione culturale e antropologica. Molto di occidentale è rientrato nel percorso dei Balcani.

L’Albania che conoscevo, quella terra dalle strade interrotte, dagli sguardi incerti, dai volti esasperati, è ora divenuta l’Albania del sorriso e degli occhi profondi che sanno esprimere un futuro. Un dato di primaria importanza che sancisce l’età di un cambiamento. Quel mondo bloccato all’interno di una comunità prettamente contadina ha saputo fronteggiare il momento della trasformazione. Una società in transizione è una società che muta, che ha necessità di confrontarsi con il quotidiano ma anche con ciò che potrebbe essere il futuro in modo innovativo. Le grandi città hanno il fascino dell’Oriente, ma vivono una contaminazione con l’Occidente.

Tirana è una città che si è molto rinnovata ad iniziare dai locali, dai ristoranti, anche se l’atmosfera continua ad essere legata al modello etnico dei Balcani. È evidente la volontà di voler preservare la tradizione di una civiltà adriatica pur aprendosi all’innovazione. Il mondo adriatico è chiaramente un mondo levantino. Sussistono grandi differenze tra le varie città.

Le città di mare portano il senso del viaggiare dentro quelle costole che sono percorsi di naviganti e di realtà fluttuanti.Valona, come Scutari, ha il mito di Teuta, ma Scutari è una città dell’interno che guarda anche al Kosovo, mentre Valona è prettamente occidentale. Tirana è la città che incontra e intreccia un mondo antico che è quello radicato nella fisionomia di un modello scanderbeghiano, in direzione di una comparazione con l‘Occidente. Le moschee hanno il colore delle albe e dei notturni. Si ascoltano nel saluto del giorno e nei tramonti che raccontano.

In questa fase di transizione, la cultura ha giocato un ruolo di primo piano. La presenza culturale, nelle università, di una comparazione con il mondo occidentale, è un esempio emblematico. Ho vissuto le università di queste città e mi sono reso conto che anche lo stesso dialogare con gli allievi, così come con i docenti, ha avuto una sua innovazione sul piano della dialettica. Oggi è possibile dire ciò che fino ad ieri era difficile affermare perché non si veniva compresi. L’apertura verso altri modelli e altre frontiere ha permesso di dare un senso ad una dimensione di scavi di civiltà.

Ho ancora nella mente il ricordo indelebile di Scutari quando la visitai la prima volta, diversi anni fa. Le buche nelle strade, le moschee, i mercati nelle piazze in cui si vendeva di tutto. Accanto alle scarpe di seconda e terza generazione (definite “di secondo o terzo piede”) si vendevano la frutta e il pesce. Mercati improvvisati disposti l’uno accanto all’altro. Oggi non mi è parso di vedere più mercati di questo tipo, né a Tirana né a Scutari, e neppure le strade solcate nella terra. Resta, però, sempre il vento di Oriente, il canto e i suoni delle moschee. Un’appartenenza che sancisce una realtà di radici e di identità. In queste città cosiddette “aperte”, come Tirana, oggi è possibile creare una reciprocità di incontri in direzione di una cultura europea, soprattutto italiana.

Valona è una città adriatica, mediterranea, europea, principalmente italiana. Tirana è un intreccio. Scutari continua a vivere alcune forme di radicamento, come tutte le città interne in cui il mondo contadino è ancora molto radicato. Quella cultura popolare della terra, vere e proprie matrici di una eredità. L’Albania non è più come la conoscevo e anche le forme di tradizione, quella tradizione folcloristica definita modello etno-antropologico, assume una sembianza di “tradizione”, non più di fedeltà a una memoria che bisogna vivere come presenza di futuro. Il costume, nel quotidiano di un tempo sommerso, rimane nella memoria e guarda a questo confronto tra il mondo adriatico e il mondo mediterraneo, passando attraverso una cultura europea principalmente “italiana”.

Il mondo italiano gioca, quindi, un ruolo di straordinaria rilevanza. La lingua italiana ha assunto una funzione nevralgica. La scrittura e gli scrittori italiani assolvono a una funzione di apertura verso le altre civiltà e per andare oltre si passa non solo attraverso la lingua inglese, ma anche attraverso la lingua italiana. Dobbiamo visitare sempre più queste città per capire e farci capire, per comprendere ed essere compresi. Il mare è essenziale. Le onde portano parole, ma anche testimonianze. Portano viaggi, ma anche naviganti.

Suggerirei di porre fine al discorso dei “barconi” per creare un ponte culturale, letterario, filosofico tra ciò che oggi è l’Europa e la realtà dei Balcani (Albania, Romania, Ungheria). Le altre realtà, come la Macedonia , la Bulgaria e il Kosovo, sono ancora distanti dal mondo ormai contaminato occidentale di Tirana. L’Albania ha la danza dei ritmi adriatici e le donne portano negli occhi la profondità del mistero. La mia Albania ha lo sguardo profondo delle donne che raccontano segreti di mare e di colline.

PIERFRANCO BRUNI , Responsabile Progetto Etnie del Mibact
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