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Poesia-testamento, tra le ombre e la noia di Anna Maria Ortese nata Cento anni fa

Raccontando Napoli attraverso il mare. O i personaggi che si fanno destino e storia

17/06/2014, 16:51
Anna Maria Ortese

Anna Maria Ortese: “Là, nell'acqua stellata dei sogni, vivono gli ultimi regni, passano gli ultimi arcangeli. Il resto non è che noia ed ombre”. La noia e l’ombra ma le città vissute sono armonie e disarmonie di destini. A cento anni dalla nascita di Anna Maria Ortese nata a Roma il  13 giugno 1914 e morta a Rapallo il  9 marzo 1998 il  linguaggio, nelle sue scritture, ha una freschezza nell’incidere del raccordo tra metafora e realismo.
Raccontando Napoli attraverso il mare. O i personaggi che si fanno destino e storia. Al 1937 risalgono i suoi primi racconti: Angelici dolori, mentre al 1953 appartiene Il mare non bagna Napoli, che ha visto diverse edizioni. Il porto di Toledo è del 1975. All’anno della sua morte appartiene il suo ultimo libro di poesie dal titolo: La luna che trascorre. Il precedente libro di poesie  Il mio paese è la notte è di due anni prima. Ma, pur avendo viaggiato tra città e geografie e pur avendo attraversato, nei suoi scritti, paesaggi ed epoche la sua Napoli resta il punto di riferimento di un immaginario letterario ed esistenziale.
In quel suo Il mare non bagna Napoli “rappresentava” Napoli grazie ad un raccordo tra immagini, realtà e memoria. Pur nella costruzione o ricostruzione dei personaggi, che intrecciano narrazione, fantasia, sogno e realtà, ci sono immagini folgoranti ed è proprio da queste  immagini che il racconto viene fuori. Il mare è rievocazione ma è anche spaesamento.
      Una rievocazione sulle ali della metafora. Ovvero sulle onde di un mare che va alla ricerca delle sue onde. E le onde sono le pieghe del tempo e tra le pieghe del tempo la memoria si fa ascoltare. Si vive una vera e propria Rivoluzione Napoletana. Quella “rivoluzione” non è un’altra storia. È  una storia dentro la storia. Ma c’è lo scrittore che resta, che illumina la pagina, che offre esempi di vitalità ai ricordi attraverso le parole e i sentimenti.   
Ecco perché le immagini custodiscono la bella giornata. Perché i tasselli dei ricordi cercano di dare forma al mosaico della memoria. E tutto questo lo scrittore lo sa molto bene.
Maria Ortese intreccia pagine emblematiche giocate tra la metafora della realtà e il metaforico poetico. In alcuni suoi versi del testo del 1978 si legge: “Cosa voglio non so, perché respiro/e mi ridesto le mattine grigie./Volge nel cuor tranquilla la memoria/dei miei trascorsi tempi, e di marine/e di luna e di sole alti tramonti;/e di vicende familiari il grido/subito spento, e ancora/quasi di vento, rimbalzante al sole./Cosa chiedo non so, cosa mai spero,/e chi sono, e chi mise,/a qual fine la nuova anima a stare/tra cose tali e lievi./Ma pure un giorno finirà. Stupore/mi prende a rimirar questa vicenda/senza gioia né scopo,/quasi in deserto verde e solitario/giardino al sole vibra,/tra un’estasi di uccelli ed un fiorire/liscio di rose, il gemito del vento”.
Si tratta di una poesia testamento. Il racconto penetra il narrare e la poesia è sempre un’esistenza  che non smette la recita sulla vita e nella vita. Ma resta emblematica questa sottolineatura: “Se uno soffre davvero sa che nei miei libri può trovarsi”. È vero, tra le ombre e la noia, la vita del mare, che non bagna Napoli, si riconcilia

Pierfranco Bruni

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