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25 ANNI FA MORIVA LEONARDO SCIASCIA. UNO "SCRITTORE- CONTRO" NELLA CONTEMPORANEITA'

07/11/2014, 11:31

Venticinque anni fa moriva Leonardo Sciascia. Impegno civile e letteratura. Due percorsi che hanno dato vita a un processo culturalmente omogeneo ma che è stato fondamentale per capire una “certa” Italia sia sul piano politico che su quello culturale. Sciascia era un contemporaneo nella contemporaneità ma riusciva a vivere il “suo” tempo nel tempo della storia e la storia, non quella che offriva nei suoi scritti o mostrava attraverso la sua dialettica e la sua capacità di afferrare gli eventi, era una frantumazione di particolari, di elementi culturali, di modelli esistenziali. I personaggi che portava sulla scena avevano sempre un’anima e i paesaggi che mostrava non erano sempre dei luoghi geografici ma dei riferimenti esistenziali che avevano una penetrazione etica, morale, letteraria.
     

Nei suoi personaggi quell’anima non era sempre un’anima cosiddetta civile ma il più delle volte emergeva una coscienza enigmatica. Il mistero era per Sciascia un’avventura ma anche un destino. Uno scrittore calato nella profondità siciliana. Una sicilianità che significava Mediterraneo. Un incrocio tra civiltà abbandonate sulle onde del Mare arabo, sulle colline, lungo i corridoi dei paesi del Sud, nelle piazze che si traducevano in agorà, nel sospetto dei sogni, nella falsità degli uomini persi alla ricerca delle ricchezze improvvise o improvvisate. Ebbene Sciascia aveva la consapevolezza che i personaggi e gli uomini si sentivano aggrediti dal destino e dal peso delle avventure. E il tutto in una rocambolesca messa in scena nel teatro fittizio dei giorni.

      Un pirandelliano (o un pirandellismo) che incontra un’essenza gattopardiana (gattopardesca). Due capisaldi, al di là dei suoi testi sulla mafia e sulla condizione della sua Sicilia in un tempo di mafie e di sconfitte morali, sono certamente Pirandello e Tomasi di Lampedusa. Il mistero e la comprensione che ci deriva dalla storia. Un’unica chiave di lettura che ha un suo senso e che diventa un processo esistenziale il cui centro è segnato dall’incontro tra la natura e l’uomo.

      Da qui la malinconia che esplode dalle sue parole. Parole che sono sguardi, non attimi fuggenti, e marcano identità e radicamenti. La malinconia di Sciascia è già in Le parrocchie di Regalpetra. E poi in Il giorno della civetta pur essendo un romanzo in cui si parla di mafia. E ancora malinconia in quella ricerca di una verità che passa comunque attraverso il “sapore” della falsità. La verità è una falsità purificata. Mi riferisco a Il consiglio d’Egitto, a Morte dell’inquisitore e ancora A ciascuno il suo, a Il contesto e mi fermerei, in questa fase, a L’affaire Moro. Quest’ultimo lo considero un testo chiave.

      Perché ha dentro di sé almeno tre dimensioni. Quella storica. Quella romanzesca. Quella politica. Ovvero. L’analisi di un contesto che raccoglie l’aspetto sociale, ideologico, umano.

 

Pierfranco Bruni
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