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NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ALESSANDRO PARRONCHI. UN POETA NEL DESTINO DEL VIVERE

12/09/2014, 11:49

A cento anni dalla nascita di Alessandro Parronchi.  È, insieme, a Mario Luzi, l’ultimo poeta di quella generazione che ha fatto dell’Ermetismo la voce esistenziale di una letteratura tutta giocata tra il racconto della vita, attraverso le metafore e i simboli, e la parola come espressione non solo di un codice linguistico ma anche di una eredità il cui senso dell’essere è dentro il senso del tempo. Una generazione che non ha descritto ma ha raccontato. Una generazione che si è saputa raccogliere tra i segreti appunto della parola e i tracciati di una rivelazione che percorre, nel gioco del vivere, il mistero.
      Alessandro Parronchi (nato a Firenze il 26 dicembre 1914  e morto il 6 gennaio 2007)). Un viaggio il cui itinerario parte dal 1934 sino alle poesie del 1997. Una scelta oculata che il poeta ci regala come se fosse un dono imprevedibile ma che ha il sentire e il sentore di una malinconia tutta trafelata nel respiro degli amori, dei sogni, dei ricordi, delle nostalgie che fissano immagini.
      “La memoria non è l’ultimo porto,/il processo non s’arresta, nella sua/ciclicità tutto assorbe, anche la morte:/la morte appartiene alla vita”. E poi in un dialogo che unisce sempre più la vita alla morte è dato dall’amore. L’amore che conosce le finzioni, le fantasie e ancora i ricordi. Sono molto belli questi versi: “Ed io, precipitando/in dolci abissi di disperazione/ti sentivo perduta, irraggiungibile… (…) Soltanto per provare a immaginarci/compagni di viaggio/quali non siamo stati… (…) Eppure non vorrei. Né il ritrovarti/lenirebbe il rimpianto. E il riconoscerti,/attraverso il reticolo del tempo/ al di là di anni non vissuti insieme/potrebbe quella incerta ma ineffabile/felicità intravista allora estinguere,/farla sfumare in nebbia, mentre è un’ancora/a cui nel freddo scivola m’appiglio”.
   Ecco, dunque, l’amore nel sempre del tempo o nel tempo del sempre che colora i cieli di arcobaleni e gli aquiloni sono nel vento che riporta ricordi nonostante tutto. Nell’amore di Parronchi non c’è il sogno. Ci sono, invece, il sogno e l’amore. Ma non stanno l’uno dentro l’altro come la morte nella vita. Ovvero. C’è il sogno e c’è l’amore. Ma, comunque, l’avventura è nel destino del vivere.
      I paesaggi sono nitidi, malinconici e a volte fragili. Vivono nel ricordo e nel ricordo stesso si fanno immagine. “Il paesaggio è quello, con la chiesa/bianca, gli alberi neri, con la luna/rosea natante tra nubi di latte…”. Sempre immagini che si proiettano oltre ogni orizzonte e si caricano di vita e di sogni sospesi. I luoghi o il luogo è nel tempo del cuore. E questo tempo è una sfida rivolta alla quotidianità.
      Il viaggio lungo o il lungo viaggio alla ricerca degli amori o dell’amore è una assonanza che vibra emozioni. Soprattutto la poesia d’amore di Parronchi è una vibrazione del cuore. Una vibrazione che fa tintinnare il desiderio e l’assenza. Un incontro ermetico nell’ermetismo della parola che conosce le pause e i silenzi sono magia ritrovata nella recita della vita.
      C’è sempre un paese che è colore e atmosfera. Il paesaggio è sempre un incontro con il tempo. Con un tempo che si fa memoria. E siamo dentro la memoria dei luoghi come in “Piazzale Michelangelo”: “Come primaCome un’ombra di prima./Un po’ più qua, più là, fuori del tempo”.
      Sempre fuori di un tempo che conosce l’orologio. Sempre in quel tempo che è un ricordare le sensazioni e i sentieri che rendono il passato una memoria incantata.

Pierfranco Bruni

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